«Un giorno io domando ad un uomo serio:
vogliate dirmi quali siano i monumenti principali dai quali dovrei cominciar la
rivista, a Buenos Aires.
L’altro mi risponde: – I principali
monumenti sono le banche.
Poco soddisfatto, ripetei la stessa
domanda ad un altr’uomo ancor più serio. – Egli mi rispose: – le primer
rappresentazioni d’un’opera importante.
Ed un terzo mi disse: – Venite quest’oggi
con me: vi mostrerò qualche cosa di splendidamente monumentale.
Prendemmo una vettura, che ci portò al
giardino pubblico, detto Palermo, superba mostra della più lussureggiante
vegetazione, nel tempo stesso che raccolta zoologica d’inestimabile valore.
Però il monumento che l’uomo seriissimo voleva mostrarmi non era quello:
deviammo un po’ dalla passeggiata pubblica e andammo nel recinto delle corse
dei cavalli. Qui la nostra vettura fece sosta:
– È questo il monumento? – domandai, un
po’ mortificato, non vedendo che un gran piano, più o meno erboso; dei cavalli
in aspettativa, della gente a gruppi, dei pali infossati e dei segni di
confine.
Il mio uomo più che serio mi fece
accostare a qualche gruppoi, invitandomi a stare attentissimo non meno alle
corse dei cavalli che alle ancor più sbrigliate scommesse dei gruppi cui
stavano vicini.
Le corse cominciarono in quella guisa
che, nel gran mondo dello Sport,
cominciano e si effettuano tutte le corse di questo genere. Cavalli di razza
che sembrano aver l’ali ai piedi; fantini che cadono; distanze che spariscono;
terreno che vien divorato; nugoli di polvere che s’alzano.
L’importante non era là: era molto più
vicino a me. Qui uomini pallidi, trepidanti, seguivano le rapidissime mosse. A
un ceto punto l’uno diceva: – Scomemetto per mille scudi su quesl baio inglese:
– l’altro soggiungeva: – Scommetto per diecimila su quel nero tedesco. – A poco
a poco le scommesse ingrandivano prodigiosamente: gli scudi diventavano
sterline; le diecine di migliaia finivano col diventare centinaria di migliaia!
–
Maraviglioso e scandaloso, ma vero!
Gridate pure all’americanata, ma non a carico di me che v’espongo fatti.
Credevo anch’io di trasognare e non assitevo che alla realtà. Senza contare che
c’era pel mezzo altro genere di scommesse, più tacito: le scommesse
preventivamente fissate negli uffici dello sport
in città.
Col procedere delle corse e delle
scommesse, tutte quelle faccie livide mi parevano a poco a poco diventate
fantasmi; i cavalli sembravano tutti un corpo con chi li cavalcava: credevo
rinascere in piena mitologia per una parte; in piena orgia babelica per l’altra.
Il mio compagno mi domandò: – Non è, per
Buenos Aires, un gran monumento cotesto?
Convenni, finchè egli volle, ch’era un
monumento, ma pregai l’uomo serio di non farmi più assistere a tali scene.
Ciascuno ha il proprio temperamento: io sentiva che tutto ciò mi faceva male,
più che se avessi assistito a un disastro ferroviario, dove, almanco, c’è da
far vribrare fortemente la corda della pietà. La nostra carrozza s’allontanò da
quel recinto. Due signori, lungo la strada, salutarono famigliarmente il mio
compagno; egli li invitò a salire nella vettura: si parlò del nostro punto di
provenienza e del monumento di aberrazione cui avevano assitito.
Uno dei nuovi saliti disse: – Si potrebbe
portar il signore ad ammirare un altro monumento.
– Di questo invero ne ho avuto
abbastanza, – risposi.
I tre si scambiarono qualche segno d’intelligenza,
poi diedero un ordine al cocchiere e da lì a poco tempo la carrozza si fermò
dinanzi ad un recinto murato.»
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