martes, 28 de febrero de 2017

Emigrazione italiana, de Cesare Carocci (1900)



«In questi ultimi anni la emigrazione totale italiana, permanente e temporanea (se pur si possono, cosa ch’io non credo, insieme riunire) ha oscillato intorno ai 300 mila individui per anno, cioè dai 9 ai 10 per mille abitanti. Ma di questo totale circa due quinti e spesso più erano emigranti temporanei che partivano col proposito di riveder presto l’Italia: e dei rimanenti circa un terzo era compensato dagli immiganti, da quelli cioè che, dopo un periodo più o meno lungo di anni, o vittoriosi o delusi, tornavano in patria.
Nel 1897 emigrarono permanentemente 165.429 individui: ma dal solo porto di Genova ne riimigrarono 63.730 (dai quali, è vero, va tolto qualche migliaio di emigrati temporanei rimpatrianti e di viaggiatori), e l’eccedenza dei nati su i morti era stata in quell’anno di 407 mila.
Nel ’98 le cifre sono necessariamente alquanto cambiate: cause esterne ed interne hanno influito ad alterare i rapporti. I moti dolorosi del maggio ’98 con tutte le loro conseguenze da un lato, e dall’altro la guerra fra la Spagna e gli Stati Uniti, le minacce fra l’Argentina ed il Cile, la crisi economica generale e specialmente quella del caffè nel Brasile, non possono non avere determinato qualche deviazione nelle specie e nelle correnti della nostra emigrazione.
Colpisce a prima vista lo squilibrio grande che si è manifestato fra l’emigrazione permanente e quella temporane. Su un totale press’ a poco normale di 282.732 l’emigrazione permanente fu di 126.787 contro 165.429 dell’anno precedente; e la temporanea invece salì a 155.945, cifra non mai raggiunta, contro 134.426. Solo nel Piemonte, negli Abruzzi e Molise, e in Sicilia, la emigrazione permanente aumentò in confronto dell’anno avanti: in tutti gli altri compartimenti essa scemò, specialmente in Lombradia (che da 15.588 del ’97 si ridusse a 6.192 nel ’98), nel Veneto (da 26.036 a 8.278), nell’Emilia (da 11.275 a 5.265), in Toscana (da 10.568 a 5.558), nel Lazio (da 6.798 a 2.302), in Sardegna (da 2.731 a 24). Invece la temporanea, se si eccettui la sola Liguria, aumentò dovunque, e specialmente nel Veneto, nell’Emilia e in Toscana. Di modo che la emigrazione permanente italiana del 1898 scemò di 38.642 in confronto al 1897; la temporanea aumentò di 21.519; la totale scemò di 17.123.
Non meno eloquente è un altro quadro, secondo le destinazioni, comunicatomi gentilmente, per il porto di Genova, dall’ispettore N. Malnate. Poco ha oscillato la nostra emigrazione diretta all’Argentina o agli Stati Uniti; enormemente invece è scemata quella diretta al Brasile. Dal solo porto di Genova la media degli emigranti diretti al Brasile nel triennio ’95-’96-’97 fu di 82.611; nel 1898 essi furono appena 36.294.[1]
Ancora: il numero di quelli diretti al Brasile, spontanei, cioè col nolo pagato con i propri denari oppure col nolo di chiamata, ha oscillato pochissimo. La media dei tre anni suddetti fu di 73.377: e nel ’98 furono 63.591 contro 65.198 del ’97. La differenza è tutta nella emigrazione gratuita: la media del triennio fu di 68.872, invece nel ’98 non furono che 21.028.
Tali cifre parlano assai chiaramente, e ci dimostrano quanto le cause economiche nel fenomeno emigratorio siano più potenti che non i pericoli stessi delle guerre. Ci dimostrano anche come siano artificiali le correnti dell’emigrazione gratuita o favorita, se quella a pagamento, la vera, rimane indifferente dinanzi ad un minore esodo di 50 mila individui che gli anni precedenti partivano col nolo gratuito.
Tralascio se l’emigrazione in se stessa sia un bene o un male.
Un paese giovane, provvisto di grandi ricchezze naturali, con popolazione rara, inferiore adl bisogno per sfruttarle tutte, naturalmente non avrà emigrazione, sì bene immigrazione. Ma a un tratto il suo sviluppo naturale è troncato, lo sfruttamento delle sue ricchezze è ostacolato, una crisi insomma si è manifestata per uno squilibrio qualsiasi: la popolazione, ancor che rara, è già tropopa in quel determinato momento storico, e l’emigrazione naturalmente si manifesta. Esempio recente: la repubblica Argentina; recentissimo: alcuni Stati del Brasile.
L’emigrazione, scrive Leroy-Beaulieu, è una delle funzioni economiche, morali e politiche, più essenziali, che s’impongono ad un popolo civile, adulto e sano. E Mons. Bonomelli in una conferenza tenuta nel settembre del 1898 in Torino, in favore della Associazione Nazionale per soccorrere i Missionari cattolici italiani, [2] ripetendo press’ a poco ciò che avea scritto in una sua lettera pastorale del 1896, diceva: “I popoli vecchi, che minacciano di morire, mercè della emigrazione ringiovaniscono: solo i popoli infecondi, i popoli decrepiti, i popoli non emigrano”.
Ma pure possono non avere emigrazione anche i popoli giovani e sani e fecondi, come possono averne una fortissima i popoli vecchi e decrepiti. Perchè essa non dipende solo da fecondità maggiore o minore, da giovinezza o da decreptizza, ma da un complesso intricantissimo di cause, la cui somma è una sproporzione, anzi sproporzione, fra i mezzi produttivi attuali e le esigenze minime relative del popolo intero.
E tale sproporzione è oggi fra noi.
Nè è questione di mettere a una sterile cultura il milione o poco più di ettari coltivabili e ancora incolti delle terre d’Italia: come dice il Bodio, basterebbe appena a contenere la nostra emigrazione di due anni, ma non diminuirebbe lo squilibrio economico oggi esistente. Il quale non potrà scomparire o almeno attenuarsi – taccio di ogni riforma tributaria, militare, e simile – fintantochè l’agricoltura, proprio in quei 20 milioni di ettari ora male coltivati, l’industria, il commercio, tutte le altre risorse produttive, con perseveranza di sforzi intelligenti e ben diretti, non riusciranno ad uguagliare i mezzi al bisogno, e a mantenerli poi parallelamente avanzanti.
Oggi l’emigrazione per noi è necessaria: è un bene. Noi abbiamo, come dice il Bodio[3], una popolazione troppo fitta, nelle presenti condizioni industriali ed agricole, dato il rapporto ora esistente fra il capitale disponibile e il numero delle braccia.»

Cesare Carocci, Emigrazione italiana. Firenze: Ufficio della “Rassegna Nazionale”, 1900.


 Mons. Geremia Bonomelli




[1] Nel 1° semestre del 1899 l’immigrazione nel Brasile è ancora scemata più che della metà! Basti dire che il suo totale fu appena di 8.804 individui, dei quali 4.769 italiani, mentre nel semestre corrispondente del 1898, quando già si erano manifestati e crisi e rilascio, erano sempre stati 16.250 con 13.308 italiani. Invece cresce il numero di quelli che ripartono da Santos per l’Europa, l’Argentina, e altre parti d’America. Vedi il rapporto del R. Console a S. Paolo, in Boll. Min. Aff. Est. N. 146. Ag.-Sett. 1899.
[2] Pubblicata in “Gli Italiani all’Estero” (Esposizione generale it) Torino, 1898.
[3] Atti del 2° congreso geogr. it., Roma, 1896, p. 289 e segg.

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