jueves, 2 de marzo de 2017

Sul progetto di legge in materia di emigrazione, de Luigi Luzzatti (1900)




SUL PROGETTO DI LEGGE

IN MATERIA DI EMIGRAZIONE

29 NOVEMBRE 1900

LUZZATTI LUIGI, relatore. (Segni di attenzione). L’onorevole mio collega Pantano, nella esuberanza della sua eloquenza, ha ieri mietuto quasi interamente il campo assegnato alla presente discussione, e nella bontà dell’animo suo ha voluto persino rispondere ad alcuni appunti personali, che mi erano stati mossi dall’onorevole Pantaleoni.
Già questa legge contiene qualche cosa di prodigioso rispetto ai consensi parlamentari, imperocché non solo ha generato quest’accordo fraterno di due uomini usi a combattersi nella politica; ma si è visto generarsi persino il consenso che da tanto tempo, con mio rammarico, mancava, tra l’onorevole Sonnino e la Commissione, la quale ho l’onore di rappresentare. (Si ride).
Qui siamo quasi tutti consenzienti nello affermare che i mali ai quali si deve porre riparo non tollerano dubbi o contrasti. Liberisti e intransigenti, sociologi equi, socialisti, da qualsiasi scuola muovano, a qualsiasi dottrina si affidino, nessuno può disconoscere la necessità di alcuni provvedimenti, i quali facciano cessare questo spettacolo vergognoso, da cui esce quel pianto delle cose dolenti, di cui parla il poeta latino.
Però nei metodi dissentiamo. Ed è qui il bello, l’alto, il nobilissimo senso di siffatta controversia, in cui schierati l’un contro l’altro, sempre in nome della pietà degli emigranti, si avvertono scuole, disegni, idee diverse tra loro opposte. Il che innalza questo Parlamento, che da tanto tempo sentiva il bisogno di una controversia, la quale lo portasse in più spirabil aere.
L’onorevole Pantaleoni (a cui non ritorcerò nessuna accusa personale, neppur quella di aver potuto essere anche lui, senz’accorgersene, perché sono strumenti irresponsabili, il fonografo di qualcheduno, per esempio, degli agenti di emigrazione) (Si ride), l’onorevole Pantaleoni ha nella mente mia, quando parlava, destato il ricordo di un’altra grande controversia sorta in questo Parlamento nel 1874, quando un uomo a cui non si dorrà che io lo compari, Francesco Ferrara, sorse per una tesi non eguale, ma somigliante, a sostenere le dottrine, delle quali si è fatto autorevole interprete l’onorevole Pantaleoni.
Si discuteva in questa Camera, nella fida compagnia di Quintino Sella, l’opportunità di integrare la deficiente energia del risparmio libero con le Casse postali. Sorse l’onorevole Ferrara a negare questa azione dello Stato in nome delle più pure e astratte dottrine del liberalismo economico. E come oggidì l’onorevole Pantaleoni, allora all’onorevole Ferrara profetava che gli effetti di questa ingerenza sarebbero stati fatali all’economia nazionale, perché il risparmio libero si sarebbe rattrappito, lo Stato avrebbe costretto nelle sue mani i piccoli capitali di tutto il paese, con grandissimo danno della produzione e del credito. Tutti questi tristi presagi si dileguarono, come ombre vane, e alla scuola economica, rappresentata dall’illustre uomo, toccò un’amara delusione, poiché si è veduto avverarsi ciò che allora noi sostenevamo, che il risparmio libero e quello postale, in bella e feconda gara, si sarebbero aiutati a vicenda con l’onore, con la gloria e con l’aumento dell’economia nazionale. (Bene!)
Ora, onorevole Pantaleoni, qual’è quella specie di intervento oggi invocato a tutela ell’emigrante?
È un intervento legittimato dalla sana dottrina di una equa libertà economica, non intesa come il dogma di uno Stato inerte, che non si curi di nessun dolore e di nessun male, ma quale integrazione di forze deficienti delle energie individuali, e costituente, nei casi di necessità, un supremo dovere dello Stato.
E invero per questa legge come si esplica l’azione dello Stato? Il primo suo compito è uno di quelli che nessun economista, persino il più liberale, può ad esso rifiutare: spargere intorno a questo problema oscuro fasci di luce, cercare di costituirsi in ufficio dirette e oneste informazioni. (Benissimo!) Ma questo può non bastare, e allora lo Stato continua a svolgere questo compito suo nel senso della libertà economica e sociale, rimovendo gli ostacoli che possono attraversare la via allo emigrante.
E, ove occorra, lo Stato si adopera a integrare la deficiente attività, la deficiente energia, le insufficienti resistenze degli emigranti, con la sua vigilante azione. Solo in momenti estremi, quando la necessità suprema lo imponga, lo Stato passa in prima linea e fa. Ma quando in questi casi lo Stato passa in prima linea e fa, somiglia all’esercito di riserva, il quale deve tenersi sempre lontano dalla fronte della battaglia, sino a che costretto a entrare nel posto del pericolo vince la pugna, a cui il corpo principale dell’esercito liberatore non avrebbe potuto bastare. (Benissimo!)
Onorevole Pantaleoni, noi avremo, lo spero, più volte occasione di discutere insieme in questa Camera, per dissentire e talora anche, il che sarà forse gradito a Lei come sicuramente lo sarà a me, per consentire. (Segni di assentimento del deputato Pantaleoni).
Ma, pur ponendo fede superstiziosa nella dottrina delle armonie economiche, per effetto della quale si professa che le concorrenze, sotto l’azione preservatrice della legge comune, finiscono per correggere le loro deviazioni e produrre spontaneamente il maggior benessere sociale, come non si avvede che in quest’oscuro e complicato fenomeno della emigrazione le stridenti perturbazioni sono tali e tante che la legge economica delle armonie viene meno, perché si deve attuare in un ambiente guasto, denso di errori, di interessi, dinanzi ai quali non vi è principio teorico che possa reggersi cimentandosi con la realtà dei fatti? E, onorevole Pantaloni, queste dottrine delle armonie economiche, in quante occasioni, nella nostra legislazione non trovano il loro naturale limite nella tutela sociale e nella evidenza delle utilità sociali? Quando si presenteranno leggi di tutela degli operai a somiglianza di quelle del Parlamento inglese ed Ella opporrà i suoi principii delle armonie economiche, noi lasceremo, per riguardo a Lei, che i deboli, che gli oppressi, che i derelitti, coloro i quali non possono da sé integrare il loro compito nel mondo, siano sacrificati e non sieno tutelati e protetti come le sane regole educative concordate con quelle della igiene richiedono?
Ricordo come i suoi predecessori d’Inghilterra, quando cominciò in quel paese la memoranda battaglia a favore della educazione obbligatoria e della igiene obbligatoria nelle fabbriche, onde si ebbe quella mirabile legislazione della tutela del lavoro, che salvò le generazioni inglesi dalla atrofia dell’industrialismo, ricordo come i suoi predecessori dell’Inghilterra invocarono la dottrina delle armonie economiche sostituita a quella della tutela sociale nelle fabbriche; ma ricordo anche che quando l’Inghilterra, dove l’economia politica è nata, dove ebbe il suo culto più pieno e là ancora, in nome delle astrattezze scientifiche alleate cogli interessi dei fabbricanti la scienza pura si oppose alla legge sulle fabbriche, sorse un grido da tutti i centri operai, sorse un grido da tutte le coscienze degli igienisti e da tutti i cuori dei disinteressati, che sono i più e decidono le vittorie a favore del progresso sociale, grido conclamante: Qui la libertà economica si ferma, perché qui si comincia l’omicidio legale di tanti deboli, ai quali noi dobbiamo portare il nostro aiuto, a tutela della integrità fisica e morale della nazione! (Benissimo! – Approvazioni).
E non basta, onorevole Pantaleoni; vi è oggi tutta una serie di leggi, tutta una serie di provvedimenti, nei quali l’azione delle armonie economiche ha fatto fallo per effetto dei nuovi e più complicati rapporti fra il lavoro e il capitale, e dove è richiesta l’azione prudente, integratrice e ausiliatrice dello Stato. Io non so se Lei voterà il disegno di legge presentato dall’onorevole Sonnino intorno ai contratti agrari. Dichiaro qui, innanzi alla Camera, che gli invidio la sua iniziativa e che, per rifarmi dall’avermela lasciata prendere, cercherò di completare in alcuni punti quei salutari provvedimenti! Ma che cosa è un disegno di legge sui contratti agrari sul tipo di quello dell’onorevole Sonnino? È una azione integratrice della legge positiva, la quale afferma la insufficienza della concorrenza fra il lavoro e il capitale a poter dare al lavoratore della terra le guarentigie essenziali, senza le quali si corrompe e si esaurisce la nostra razza, il capitale diventa capitalismo, sopraffacendo ogni specie di iniziativa del lavoratore.
Così, onorevole Pantaleoni, la necessità delle cose, le vaste e profonde complicazioni dei rapporti sociali hanno modificato le teoriche degli economisti intransigenti. E per fortuna del nostro paese, un senso di equità, che associa i principi dell’individualismo con la beneficenza e con la tutela dei deboli, ha sempre costituito il carattere della scuola economica italiana, la quale non si è lasciata traviare dalle seduzioni del socialismo, né dalle esigenze di un individualismo eccessivo e intransigente.
Se noi consideriamo, per esempio, nei contratti agrari la tutela del lavorante, la si trova risalendo al medio evo nelle consuetudini di Milano coi miglioramenti operati nelle terre, che i padroni avevano l’obbligo di rimborsare, nelle consuetudini dei migliori nostri Comuni agrari. Il beneficium competentiae, che oggi si direbbe leggi di Homestead, di inviolabilità del minimo dei mezzi, che occorrono al lavorante per vivere e per coltivare il suo piccolo fondo, lo si riscontra in Italia, nei nostri Comuni sin dal medio evo, ubbidienti non alla sapienza delle dottrine economiche assolute, ma alle necessità reali della vita di un popolo, che non ha mai dissociato la grandezza e la cura del capitale dalla grandezza e dalla cura del lavoratore.
Noi verremo una buona volta a questa controversia e discuteremo tra scuola e scuola; e allora, se i socialisti ce lo permetteranno, noi ci proveremo anche a discutere i fondamenti delle loro dottrine, imperocché finora essi ebbero facile giuoco nel proclamarle in questo Parlamento, e nessuno sorgendo a contraddirle di fronte, essi che non sono modesti, quantunque sapienti, (Ilarità – Benissimo!) le dichiararono inconfutabili. (Ilarità – Il deputato Pantaleoni interrompe).
So, onorevole Pantaleoni, che a Lei sarebbe facile e piacevole giuoco la formula, che alcuni giorni or sono, ragionando con sottile dialettica (sottile come la sua persona, del resto simpatica) (Ilarità), poneva: o individualismo o collettivismo, il collettivismo di quei signori, additando i socialisti.
No, no, si disinganni, onorevole Pantaleoni, noi non le meneremo buona questa sua formula: né individualismo come Lei lo professa, né collettivismo socialista quale lo professano quei signori, ma una dottrina di equità e di bontà, la quale concili, per quanto è possibile, con gli interessi del lavoro, gli interessi del capitale, sotto l’azione di quel metodo sperimentale che è nostro, che dall’Accademia del Cimento fu applicato alle scienze naturali, e noi vogliamo applicare anche alle scienze sociali. Quel metodo ci lascia la speranza che «provando e riprovando» col sentimento di solidarietà che collega la ricchezza alla miseria, la coltura all’ignoranza, si finisca per trovare quelle formule che non sovvertono le società, come vorrebbero i socialisti, ma non lasciano gli umili, i derelitti a consumarsi nella rabbia dei loro dolori irredimibili... (Applausi vivissimi).
Una voce. Alla prova!
LUZZATTI, relatore. Alla prova, alla prova. Non so chi mi abbia interrotto, ma spero che questi vorrà permettere a un uomo, che da tanto tempo studia e si occupa di queste materie, di potere almeno cimentarsi a discuterne con l’ignoto interruttore. (Ilarità). Certo, lo ripeto, voi vi presumete sapienti, ma non siete modesti. (Bene! Bene! – Ilarità – Interruzioni alla estrema sinistra e del deputato Costa).
Del resto, onorevole Costa, Ella sa che ne abbiamo discusso insieme qualche volta, con molta libertà di parola, Lei e io, dinanzi ai Comizi popolari, e siamo usciti fuori senza sbranarsi. (Si ride). Ma lasciatemi andare avanti. (Si ride).
Quindi faccio piena riserva intorno alla qualità di queste dottrine che ci si oppongono. Noi siamo risoluti a non lasciarci prendere la mano da nessuno nello studio di questi problemi sociali, orgoglio e tormento del tempo nostro, a proporre le nostre soluzioni, ed eccitiamo il Governo ad assecondarci; ove non lo facesse lo suppliremo noi (non lo sostituiremo, Dio ci guardi) se la sua opera fosse insufficiente, perché non vogliamo lasciare quest’alta impresa e lo studio di queste questioni soltanto a una parte della Camera. (Benissimo! Bravo!)
La Camera deve occuparsi di tutti questi vitali interessi, tranne coloro, s’intende, che colla teoria delle armonie economiche, dichiarano, alla maniera dell’onorevole Pantaleoni, che tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili. (Si ride).
Non abbandoneremo ai socialisti il monopolio dei problemi sociali!
E ora entrando nell’esame di questa legge, ho udito in questi giorni da oratori eminenti, e comprendo in essi, s’intende, gli onorevoli Pantaleoni e Giusso, obbiezioni che hanno prodotto un certo effetto sull’animo mio. In queste materie nuove e complicate, provare e riprovare non è soltanto un dovere, ma una necessità; coloro i quali credono di poter risolvere in modo indefettibile e infallibile un problema di tal fatta, per ciò solo mostrano una grande infermità intellettuale. Io ricordo come uno degli scrittori più illustri del nostro secolo, il Guizot, parlando dei provvedimenti di carattere sociale, li qualificasse con una sentenza aurea, rimasta impressa nell’animo mio: «In provvedimenti di questa specie (dice Guizot) le speranze più modeste divengono nella realtà presuntuose». E in verità, o signori, quante volte abbiamo veduto coi migliori intendimenti iniziarsi dei provvedimenti sociali, che non risposero alle concepite speranze? E qui rispondo all’onorevole Sonnino, che di questa aspettativa nel paese faceva quasi un rimprovero alla legge, e poi ne trasse la conclusione, dolce al mio cuore, di votarla. (Si ride). Anche la legge delle fabbriche che costituisce la legislazione del lavoro inglese, alla cui ombra riposano le stanche falangi di quei liberi e forti lavoratori, nacque nel 1803 e poi successivamente ebbe più di cento rettifiche.
Ora qual meraviglia se anche la nostra legge, a cui affidiamo oggi un seme felice, potrà essere argomento di ulteriori ritocchi? Quindi ne parlo con una grande modestia, senza presunzione di speranze smisurate, ma non voglio rimpicciolirla tanto da togliere ogni fiducia sui suoi salutari effetti. Il mio amico personale, l’onorevole Pantano, ieri, con quell’ardore che l’alto tema gl’inspirava, mi ha quasi tutta preclusa la via; ma l’argomento è così vasto che ha lasciato ancora qualche punto da spigolare. Lo ringrazio di questa sua condiscendenza, imperocché dopo il suo discorso ben avrei potuto tacere senza danno della legge e fu lui a costringermi a parlare.
Le obbiezioni sostanziali a cui non ha interamente risposto l’onorevole Pantano, messe innanzi con grande abilità, sono le seguenti:
La legge è troppo complicata e macchinosa;
La legge crea dei nascondigli di disavanzo con la cassa aperta per il fondo di emigrazione;
La legge crea una burocrazia, la quale dovrà allargarsi per la tendenza che ha la burocrazia italiana a vegetare mirabilmente;
La legge non è abbastanza completa perché non cura alcuni punti della vita degli emigranti, i quali dovrebbero essere argomento di principali cure in provvedimenti di tal fatta; è insomma deficiente dal lato igienico.
Potrei parlare di altri appunti, ma qui mi fermo perché ne dovremo ragionare alla discussione degli articoli. Sarà allora il caso di esaminare alcune osservazioni molto importanti fatte dagli onorevoli Bonin, Valli, Morpurgo e da altri colleghi, dei quali in questo momento non mi soccorre il nome. Ora esaminiamo con molta calma, con molta serenità, senza alcun pregiudizio di infallibilità (ma da una parte e dall’altra, onorevole Pantaleoni) il valore di queste obbiezioni.
E cominciamo dalla prima. La esponeva l’onorevole Sonnino: la legge è troppo complicata, troppo macchinosa, entra in troppo minute specificazioni, in troppo minuti particolari; era meglio affidarli al regolamento, perché il regolamento è mutevole e può seguire, meglio della legge, gli impulsi della esperienza.
Non è a credere che il nostro Parlamento possa ogni anno raccogliersi a esaminare le modificazioni della legge sull’emigrazione; quindi val meglio affidarsi al regolamento, il quale seguirà di continuo i portati dell’esperienza. E l’onorevole Giolitti, con molta autorità, parlandomi ieri, non qui nella Camera, ma privatamente, di questa legge, alla quale consente, mi pare, il suo suffragio, mi diceva che, pur votandola, doveva fare una obiezione
somigliante a quella dell’onorevole Sonnino. Non è vero, onorevole Giolitti?
GIOLITTI. Sì.
LUZZATTI, relatore. Quindi noi abbiamo due santi padri di questa Camera che concorrono nell’eguale obiezione.
DEL BALZO CARLO. Non stati canonizzati! (Si ride).
LUZZATTI, relatore. Hanno avuto anche la opposizione anticanonica da Lei; quindi c’è la consacrazione sufficiente. (Ilarità). Consento che la legge, quale è, pare troppo macchinosa; se gli onorevoli Giolitti e Sonnino vorranno indicarci quali parti di essa, senza nuocere all’organismo dei nostri provvedimenti, possano passare nel regolamento, li assicuro in nome della Commissione, di cui esprimo l’unanime pensiero, che saremo lietissimi d’accogliere le loro osservazioni.
Ma devo a questo proposito fare una osservazione di carattere sostanziale, non formale.
Vi è una differenza necessaria di redazione fra le leggi di carattere giuridico fissanti unicamente, o principalmente, rapporti di diritto, e quelle di carattere sociale. Le leggi di carattere giuridico possono avere quella imperatoria brevitas, quella chiarezza che la natura giuridica trae seco; ma le leggi di carattere sociale, le quali regolano più che rapporti di diritto rapporti di interessi, appaiono in tutti paesi del mondo molto più complicate e voluminose.
Prendete, per esempio, le leggi sociali inglesi o tedesche e vi troverete una tale complicazione che non ha riscontro con la snellezza e con la semplicità di altre leggi di carattere giuridico. È nella natura di questi provvedimenti il contenere, anche nelle loro forme esteriori, delle complicazioni che emanano dal carattere delle cose. Però torna inutile che insista sul nostro desiderio di assecondare indirizzi così legittimi e voti così autorevoli.
Ma diceva ieri l’onorevole Sonnino, che era in vena e parlò con felicità particolare (Si ride): «Stia in guardia la Camera contro il fondo d’emigrazione!»
E aggiunse delle osservazioni notevoli sulle tasse, toccò molte questioni di una delicatezza straordinaria che la Commissione, la quale non ha nulla da nascondere, deve con grande sincerità esaminare. L’onorevole Sonnino sa che io, nella mia azione finanziaria in questa Camera, ho dato la caccia a tutte quelle casse, cassette e fondi speciali che chiamammo nascondigli del disavanzo, e per fortuna nostra furono snidati e abbattuti, colla speranza che più non si riproducano. In questo punto il voto dell’onorevole Sonnino non può essere diverso dal mio, perché insieme abbiamo combattuto per la felice chiarezza e unità del bilancio, senza cui ogni sindacato parlamentare è vano e insufficiente.
Ma come nacque questo fondo di emigrazione? Nacque (e l’onorevole Sonnino ne ha fatta una buona analisi) dalla titubanza, dalla timidità, legittime l’una e l’altra, del ministro del tesoro, il predecessore dell’onorevole Rubini, (l’onorevole Rubini sarebbe, in questa materia, anche più titubante e più timido del suo predecessore); il quale, quando si venne innanzi con l’idea della legge dell’emigrazione, ci disse (e pur l’onorevole Boselli è così competente in questa materia): non parlatemi della emigrazione; ne rimango estraneo; se voi mi garantite che il bilancio dello Stato non ne avrà nessun carico, vi do la mia adesione; altrimenti vi metto un veto. Sarebbe stato un veto dolce, come quelli che usa fare l’onorevole Boselli; ma non sarebbe stato, per questo, meno efficace. E allora il ministro degli esteri chinò la testa.
Il desiderio di avere questa legge era tale in lui, la necessità di avviarla con dei fondi così evidente, che egli e noi abbiamo dovuto piegare e appigliarci a questa forma di costituzione di un fondo speciale per gli emigranti.
Ma vi è anche un’altra ragione che ha fatto sì che non si siano portate in bilancio, nell’entrata, i proventi, e nelle spese del Ministero degli affari esteri, le erogazioni. E qui, non ditemi poeta.
Quando questa legge sarà avviata, quando sarà posta in pieno vigore, quando Parlamento e Nazione saranno costretti a esaminare siffatti fenomeni pieni di vergogne silenziose, pieni di oscure complicità, oggi sottratte al nostro studio, una corrente di simpatia si determinerà sempre più nel nostro paese a favore di questi forti, che chiamai (alcuni ne risero) «il fiore di nostra gente infelice», gli emigranti, e ho la speranza che qualche sfruttatore di emigranti (in questa Camera, si sa, non ce n’è alcuno) qualche sfruttatore di emigranti, agente di emigrazione, o armatore che sia, giunto alla sera della vita, in quel momento in cui i vecchi apparecchiano la mente ai casti pensieri della tomba, come dice Manzoni, (Si ride) senta il bisogno di restituire un po’ della maltolta moneta, (Viva ilarità) e lasci a questo fondo di emigrazione, che ha la sua costituzione distinta, assegni e lasciti. E, se non saranno costoro a far questo (peggio per loro, vorranno male, e io che credo alla vita futura, li avverto che non l’avranno in loco lieto) (Si ride) e se non saranno costoro, onorevoli colleghi, vogliamo credere che sia inaridita la fonte della pietà nel nostro paese, e che quando noi daremo ad essa una direzione certa, una direzione nuova, essa non si avvii ad alleviare tante miserie, che erano fin qui ignote e celate?
Ma non si lascia l’eredità a un capitolo del bilancio; (Si ride) la si lascia a un fondo speciale, amministrato dallo Stato. Per esempio (e ne fu taciuto; e colgo qui l’occasione per rispondere a una giusta raccomandazione dell’onorevole Casciani), il fondo di emigrazione si alimenterà, oltre che delle tasse pagate dai vettori (e dimostrerò e darò prova alla Camera che non possono avere riverberazione o la avranno lievissima sui noli)... è forse presunzione la mia di cimentarmi in dimostrazioni di tal fatta, in una Camera dove siede un uomo, il quale sulla traslazione di tributi scrisse un libro che ha insegnato tante cose anche a me e rimarrà...
Voci dall’estrema sinistra. Chi è?
Altre voci. Pantaleoni.
LUZZATTI, relatore. Chi è? Lo dovreste ben sapere voi che l’ammirate più di me! (Si rideMa torniamo al punto donde era mosso il mio discorso.
Un altro fondo di entrate si trarrà dal Banco di Napoli, a cui è affidata la esecuzione della legge sulle rimesse degli emigranti, la quale, già presentata da alcuni Ministeri, verrà fra qualche giorno alla Camera, avendone pronta la relazione. Fu sapiente il divisamento di dare questi uffici al Banco di Napoli, anche perché è l’Istituto più conosciuto dalla maggior parte dei nostri emigranti, e si è fissato che una buona parte degli utili del Banco vadano a impinguare il fondo di emigrazione.
Questi utili nei primi anni saranno lievi, ma nei successivi ingrosseranno, perché io che ho dovuto studiare questo tema, il quale costituisce un’altra delle nostre vergogne, un’altra delle spogliazioni che non hanno nome, mi sono avveduto che se in Italia tanti si arricchiscono a danno degli infelici emigranti, negli Stati Uniti di America se ne arricchiscono anche molti nostri piccoli banchieri o cambisti, che potremo meglio qualificare, con forma molto più rude, usurai.
Quindi anche facendosi dal Banco di Napoli questo nuovo servizio con grande prudenza, gli utili saranno sempre di parecchie centinaia di migliaia di lire, non tolte agli emigranti, ma rappresentanti gli onesti avvedimenti dei cambi e degli impieghi.
Ora a me piace che il Banco di Napoli per questi assegni, in cui concorre con gli utili ricavati dal denaro degli emigranti, non li versi in un capitolo del bilancio, ma nel fondo della emigrazione. Però saremmo poco cortesi se a un uomo che ha reso tanti servizi alla legge, che l’ha tanto aiutata, l’onorevole Sonnino, non si recasse qui il ramoscello d’ulivo e non si facesse una proposta la quale, se non è quella che egli desidera, pur deve appagarlo. Io non ho interrogato su questo punto i miei colleghi della Commissione; me ne daranno venia: è un’idea che si è formata ora nella mia mente e, se non vi consentiranno, naturalmente la ritirerò. L’onorevole Sonnino ha detto una cosa brutale, ma giusta: un allegato del bilancio del Ministero degli esteri nessuno lo legge; ha ragione, perché molti, purtroppo, non leggono neanche i bilanci; figuratevi poi gli allegati! (Si ride).
M’impadronisco di questa sua obiezione e vorrei correggere la nostra legge dichiarando che il relatore del bilancio degli affari esteri sarà obbligato a presentare alla tribuna, insieme alla relazione del bilancio, quella sul fondo di emigrazione e che la Camera dovrà esaminare e votare questo fondo speciale, non confuso col bilancio degli affari esteri, ma come un bilancio a sé. Spero che l’onorevole ministro degli affari esteri non avrà alcuna difficoltà ad acconsentire a questa proposta e così noi avremo conservato a questo fondo il suo carattere speciale, che acquista quel particolare sapore che vi ho indicato, e dall’altra parte sarà tolta la possibilità che in un allegato si dimentichino o si creino quei debiti occulti dei quali sono avversario accanito al pari, se non più, dell’onorevole Sonnino. (Commenti).
Il mio amico Lacava, che mi dà sempre dei consigli preziosi, mi dice che così si fa anche per il fondo del culto e per le spese di beneficenza e di religione della città di Roma.
Abbiamo un precedente; quindi la nostra coscienza, in pace coi precedenti, si è molto alleggerita. (Si ride).
L’altra obiezione su cui si intrattenne il mio amico personale Giusso, amico anche politico e quasi economico in parecchie questioni... (Commenti – Ilarità).
Sì, va bene il quasi; voi vi meravigliate del quasi, ma trovate voi in questa Camera due cervelli che pensino nello stesso modo sopra il più chiaro e semplice argomento economico, che pur non dovrebbe dividere? Trovateli! (Si ride).
L’onorevole Giusso si è spinto fino a tacciare di vergogne di questa legge la tassa sui vettori, e con la solennità che dà aiuto alla sua eloquenza ha ingrossato la voce e l’ha fatta più cupa del consueto. (Si ride)
Pareva quasi che in questa Camera si agitassero fiamme di vergogna, uscenti da questa nostra legge, pur così immacolata, solo perché alcune sue disposizioni non corrispondono ai gusti dell’onorevole Giusso...
Onorevoli colleghi, non trattiamo le ombre come cosa salda ed esaminiamo le questioni con quella serenità che l’argomento richiede.
Nel disegno di legge, e con un decreto reale, che con esso si collega e da esso piglia la sua ispirazione, escirono dei provvedimenti ottimi sui passaporti degli emigranti, che semplificano, sollecitano, tolgono le spese.
Ora io non voglio infastidirvi con la lettura di molti numeri; l’onorevole presidente permetterà che li alleghi al mio discorso: così serviranno di commento e di bersaglio agli ulteriori studi degli agenti di emigrazione. (Si ride).
I risultati sono i seguenti: il costo di un passaporto per una famiglia di emigranti, contadini, braccianti, operai, per le spese vive del passaporto, è di lire 10 all’incirca; se si tenga conto di tutte le altre spese per le domande al distretto per i militari in congedo, documenti eventuali, domande al prefetto, di tutte le spese che richiedono i sub-agenti di emigrazione, ferrovia, posta, telegrafo, ecc. (naturalmente i sub-agenti non le ingrossano ed è provato che essi sono di un candore superiore di coscienza) (Si ride), si può arrivare a una somma di 20 lire.
Qui si taglia netto su tutto ciò, e il mio amico Giusso si aggiungerà a me nel divulgare la notizia che per effetto di questa legge un beneficio reale e tangibile fluisce a quei contadini, fra i quali egli temeva il malumore che si desterebbe per la tassa di emigrazione.
Cominciamo dunque a ben chiarire che i lavoratori che emigrano hanno da questa legge beneficii diretti e chiari, il che qui è provato, e se pubblico i documenti vuol dire che oso esporli alle censure di tutti quelli che in questo momento non amano le mie parole in contrasto coi loro interessi.
Ma, si dirà, chi pagherà questa tassa? La pagheranno i vettori e la dimostrazione è facile.
Oggidì gli agenti di emigrazione nei trusts pigliano una provvigione fissa, più una partecipazione. Trattasi di un contratto di partecipazione, non di quelli che piacciono all’onorevole Sonnino e a me (di partecipazione dei lavoranti ai profitti legittimi dell’azienda), ma è un contratto di partecipazione dei parassiti sul profitto fatto alle spalle dei poveri emigranti. (Commenti).
E non si può definirlo in altro modo, perché non mi sono mai potuto figurare la importanza di quest’organo intermediario, il quale si mette fra il vettore e l’emigrante; sfrutta l’uno e l’altro, senza dare alcun tributo di intelligenza e di lavoro effettivo. E io, quando di questi organi intermediarii ne trovo nell’umana società, cerco di cacciarli ed è per questo (me lo perdoni l’onorevole Pantaleoni, che ricordava forse con un po’ d’ironia, come è costume della sua parola, il mio affetto per la cooperazione), è per questo che amo la cooperazione intesa a escludere gli organi intermediari che si pongono fra la produzione e il consumo e non sieno indispensabili.
Ora, tolto di mezzo l’agente di emigrazione, evidentemente diminuiranno le provvigioni e, diminuite le provvigioni, il primo obbligo del Commissariato,in questi ventuno elementi che costituiscono il nolo, e di cui uno è la senseria, sarà quello di veder bene che, essendosi i sensali sostituiti coi rappresentanti diretti del vettore, questi saranno pagati molto meno di quello che non lo siano oggidì gli agenti nell’accaparramento universale, vergognoso e vertiginoso di merce emigratoria che si vende. E perciò altro che quelle otto lire si risparmieranno al vettore! Si risparmierà ben più di quelle otto lire, le quali saranno cavate non dai noli, ma dai risparmi che i vettori faranno anch’essi sulle tasse ben più gravi che pagano agli agenti di emigrazione.
Però l’onorevole Sonnino diceva: tutto non riverbererà; ma a quest’altezza di otto lire un poco riverbererà. Egli può credere che se io dò valore a questa sua osservazione ed alle considerazioni che ha fatte, e su cui potrei estendermi anche più, se allora non m’incalzasse. E in nome della Commissione, ove il Governo non si opponesse, non avrei difficoltà di diminuire la tassa sui vettori; e, se egli farà una proposta, e che il Governo ci assecondi, di diminuzione equa e ragionevole, la quale non riduca troppo il bilancio dell’emigrazione (si pensi che più si riduce questa tassa più pesa sicuramente ed esclusivamente sul vettore e non sull’emigrante), la Commissione prenderà in equo esame una siffatta proposta col desiderio di intendersi.
Ma fin d’ora dichiaro che di questa tassa, costituente l’elemento principale delle istituzioni di presidio degli emigrandi, che tutti hanno chiesto in questa Camera, e lo tutelano amorosamente prima dell’imbarco, nel viaggio e all’arrivo, se noi riduciamo a troppo sottil somma il suo provento, evidentemente mancheranno i mezzi, finché si avviino tutti quegl’impulsi morali dei quali ho parlato, per poter far fronte alle spese del servizio di emigrazione.
Ma l’amministrazione è troppo macchinosa! E qui io pregherei la Camera di consentirmi (ed è il solo che abbia fatto finora) un breve ricordo personale. Ho la coscienza di aver dato nei miei uffici pubblici, la caccia, il più possibile, agli impiegati inutili. Rispetto, amo i nostri prodi e buoni funzionari, ma credo che il modo peggiore di servirli sia quello di continuare a crescerne il numero; il che va a danno specialmente dei funzionari esistenti.
Quindi aveva presentato un disegno di legge per effetto del quale, tranne che nella pubblica istruzione, per cinque anni si chiudevano tutti i concorsi per le pubbliche amministrazioni, ammettendo il principio che gl’impiegati che c’erano bastavano.
E d’accordo con l’onorevole Rubini, quando era presidente della Giunta del bilancio, ho chiuso la via a quella germinazione sporadica e interessata d’impiegati straordinari, che è una delle macchie delle nostre amministrazioni, non per effetto di questi infelici straordinari, degni del maggior riguardo, ma per la riproduzione e la vegetazione morbosa, di cui hanno dato prova; imperocché, diciamolo francamente, tutti coloro che passavano per il Governo lasciavano il loro deposito limaccioso di questi impiegati inutili: ma oggi è chiuso il mal potere di farlo! (Benissimo! Bravo!)
SONNINO. Io no!
LUZZATTI, relatore. Fatta eccezione, onorevole Sonnino, per Lei e per me, s’intende! (Viva l’ilarità). E quando si fece la legge per la trasformazione dei prestiti della Sicilia e della Sardegna, operazioni di parecchi milioni, quella di Sicilia è già a 70 milioni e quella di Sardegna deve essere sui 30, ne ho affidata l’esecuzione a un nostro egregio collega che ricordo a ragion d’onore, l’amico mio Picardi, il quale ha lavorato da sé e non ha richiesto alcun aumento di impiegati per condurre a compimento, insieme alla Commissione che con tanta cura presiede, un’opera di così gran mole! Quindi mi sento la coscienza tranquilla intorno a ciò. Ho anche io i miei peccati da scontare; ma quello di aver contribuito a ingrossar la burocrazia a danno dei veri e buoni funzionari, no! Ora il ministro degli affari esteri, in quel suo discorso così caldo di eloquenza giovanile, aurea, del bel tempo antico (Verissimo! – Bravo!) a cui non siamo più abituati oggidì (permetta che glielo dica) imperocché bisogna cercare in quei vecchi, i giovani, spesse volte (Bravo! Bene!), il ministro degli affari esteri ha dichiarato in questa Camera che procederà con molta prudenza, che intende, togliendo degli impiegati dai Ministeri che hanno il servizio della emigrazione, che quei funzionari passino col loro ufficio e col loro stipendio alla nuova destinazione e che non ci sarà notevole aggravio per il bilancio dello Stato. E poiché in questa materia gli intendimenti, per quanto lodevoli di un ministro, possono essere disdetti dai successori, così a nome della Commissione dichiaro che siamo disposti anche a scrivere nella legge tutti quei temperamenti e provvedimenti, i quali valgano a impedire che questo ufficio di commissariato, che significa soltanto una tutela efficace dello Stato sostituita alla tutela odierna inefficace, rappresenti un dilagamento di impiegati, un nuovo seminario di spese inutili.
Tutela inefficace, ho detto, per la quale si spende egualmente, ma si spende male.
Infatti, oggi, il Commissariato lo si trova e al Ministero dell’interno e a quello di agricoltura e a quello della marina, come a quello degli affari esteri; ognuno se ne occupa coi sui criterî e coi suoi impiegati. Ma essendo che questi impiegati non si vedono, non pare che si tratti di una grossa burocrazia. Ora che vi si mette sotto gli occhi un ufficio solo, che ha riunito un certo numero di funzioni di Stato già esistenti, poiché voi lo vedete più chiaramente, gridate che si ingrossa la burocrazia. Ma non è questo il modo di esaminare seriamente le cose! Io affermo che ridotto il servizio a unità, noi lo avremo più sincero, più semplice, più efficace e meno costoso ed eviteremo così litigi continui che oggi avvengono fra i Ministeri per l’indole loro. Il Ministero degli esteri, dove il servizio è posto, ha la cura morale dell’emigrante; non vuole che gli emigranti escano a ogni costo dal Regno e certamente non sarebbe stato esso a mandare ora, per esempio, nel Messico un migliaio di questi emigranti in quell’esodo luttuoso, di cui i giornali si sono occupati negli ultimi tempi. Ma il ministro dell’interno, quale si sia, respira quando vede questa gente andar fuori in qualunque modo ci vada; respirano i prefetti, i quali non si curano tanto del modo con cui gli emigranti sono trattati.
Una voce. Male!
LUZZATTI, relatore. Male sicuro! Ed è tipica la risposta di quel prefetto che disse a uno dei suoi funzionari: ma per carità moderiamo il nostro zelo a favore degli emigranti!
Gli agenti rimangono in paese, i vettori rimangono pur essi, l’emigrante solo va via e non disturba più.
PANTANO. È un elettore che parte.
LUZZATTI, relatore. È un elettore forse del suo partito, onorevole Pantano! (Si ride).
Ora, che cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo riunito il servizio, l’abbiamo semplificato, gli daremo efficacia, lo subordineremo alle leggi della meccanica razionale, otterremo il massimo effetto utile col minore sforzo possibile, con la minor spesa. Quindi non si tratta, o signori, di un ufficio nuovo, si tratta di un ufficio tecnicamente razionale messo al posto di uffici irrazionalmente distribuiti e che ora ci costano di più.
Ho tanta fede che un servizio di questa specie debba procedere con idee tecniche più che con un numero grosso di impiegati, debba procedere alla maniera con cui amministrano i boards inglesi di simigliante specie, che non potrei accettare l’emendamento dell’onorevole Abignente, il quale nel suo importante discorso, mosso dall’orrore della burocrazia, vorrebbe che negli impiegati, nell’amministrazione non si spendesse più di un terzo di quanto si accumuli per anno nel fondo di emigrazione.
Oh no! Noi intendiamo di spendere meno, e non avremmo scusa né assoluzione se in spese nuove da questo fondo di emigrazione si distraesse troppa parte di ciò che vogliamo assegnare a fondar le istituzioni a tutela degli emigranti.
Quindi, onorevole Abignente, non accoglierò quell’emendamento non perché non consenta nel suo concetto, ma perché sono più severo di Lei. (Bravo!).
Altre obbiezioni furono messe innanzi di carattere tecnico e specifico che mi pare potranno trovare la loro conveniente sede negli articoli che esamineremo d’amore e d’accordo. Però lasciate che un istante io ragioni di un altro ato di questa legge, su cui due autorevoli tecnici della nostra Camera, l’onorevole Celli e l’onorevole Casciani, ci hanno intrattenuto con molta autorità, alludo al lato igienico.
Hanno ragione gli onorevoli Celli e Casciani; il carattere igienico in questa legge ne è uno dei punti e degli adornamenti essenziali. È inutile che qui lo illustri io, perché con competenza maggiore di me ne hanno ragionato i due eminenti igienisti, di cui ricordai il nome per cagione d’onore.
L’onorevole Celli ha toccato un punto che mi sento incompetente a discutere con lui, ma lo pregherei di seguirmi attentamente per correggermi se erro, e per vedere anche un altro aspetto del problema che non è chiarito abbastanza, secondo il mio pensiero. La Commissione aveva nel suo primo progetto stabilito di accrescere la velocità effettiva e reale delle navi che trasportano gli emigranti, di accrescere la stazzatura e di accrescere i metri cubi d’aria che questi infelici possano respirare, stivati nei cupi dormitori.
L’onorevole Celli, contro la Commissione di oggi invocando l’autorità della Commissione di ieri, domanda degli emendamenti che specialmente per la cubatura di aria riconducano le cose a quella che a lui pare la lezione migliore. E certamente nessuno di questa Commissione può dissentire da lui sulla convenienza di crescere lo spazio nei dormitori e di portarli da 2,50, come è oggi, nei luoghi più alti e da 2,75 nei luoghi più bassi a una media di tre metri cubi.
E con l’onorevole Pantano noi abbiamo vivamente sostenuto questa tesi, quando, discutendone con quel sottilissimo uomo e vero tipo di nocchiere ligure, che è l’onorevole Bettòlo, (Ilarità) poi con l’onorevole Morin, essi in questo punto (e se dico male mi correggano) sono stati dissenzienti dalla Commissione, per le seguenti ragioni, le quali non piaceranno all’onorevole Celli, ma adombrano un altro aspetto della questione oggi accennata.
Nel regolamento del 1897, che poi è di ieri, perché è stato posto ad effetto ora appena nel 1898...
CELLI. No, c’è quello del 1898.
LUZZATTI, relatore. È precisamente quello; siamo d’accordo. In questo regolamento si è fatto un passo avanti, perché, prima di questo regolamento, i metri cubi di aria assegnata agli emigranti erano rispettivamente 2,25 e 2,50. E sapete che cosa vuol dire questo passo avanti? vuol dire spesa per gli armatori. Perché evidentemente l’accrescere la cubatura d’aria, significa diminuire il numero dei viaggiatori per dare dello spazio maggiore.
CELLI. Ma facciamo la legge per gli emigranti, non per gli armatori.
LUZZATTI, relatore. Senta, onorevole Celli, io ho di Lei una tale stima, che non deve fare a me di siffatte obbiezioni, come io non debbo farle a Lei. (Ilarità). Siamo tutti e due uomini di studio e perciò usi a evitare queste obbiezioni più vane che forti.
Dunque, tutte le navi che trasportano emigranti hanno già dovuto subire un aggravio forse senza aumentare perciò i noli.
Il passato ministro Bettòlo e l’attuale ministro Morin, credono che, nelle condizioni attuali della marina mercantile, non per favorire la nave A, o la Compagnia B, ma per conservare la concorrenza che non ci precipiti nella balia di una Compagnia sola, spavento giusto di questa Camera, sia opportuno procedere in questi progressi tecnici, a favore degli emigranti, con prudente misura, perché, più prudente è la misura, più continuo è il progresso.
La Commissione vostra ha tenuto conto di queste ragioni esposte dagli onorevoli Bettòlo e Morin, tanto per la cubatura quanto per la velocità.
Perché, veda onorevole Celli, se fossimo venuti in questa Camera proponendo le 11 o 12 miglia all’ora di velocità effettiva, insieme ai 3 metri di cubatura, avrebbe udito un assordante coro che noi accuserebbe di aver finta la pietà per servire il monopolio di poche Compagnie, le quali sole, oggi per oggi, avrebbero potuto realizzare queste condizioni. Ma la Commissione è interamente d’accordo con l’onorevole Celli, che bisogna andare avanti risolutamente. Già la legge dice che in accordo coi progressi della marina mercantile, due anni dopo dell’applicazione della legge, si chiederanno degli aumenti, tanto nella velocità, come nella cubatura, e, per parte mia, assicuro l’onorevole Celli (e lo chiameremo in seno alla Commissione, perché io intendo che tutti coloro che hanno presentato emendamenti così importanti, non solo li discutano in questa Camera, ma anche nei tranquilli colloqui con la Commissione e coi ministri) che io personalmente sarò il suo alleato. Ma, gli dico la verità, questa legge contiene tanti altri beneficî, che non vorrei comprometterne le sorti per la mancanza dei 3 metri cubi…
CELLI. Per la velocità va bene, per la cubatura no.
LUZZATTI, relatore. Ella sentirà, onorevole Celli, le ragioni tecniche dell’onorevole Morin, ragioni tecniche le quali attaccano direttamente il concetto della importanza della cubatura in relazione con l’igiene. Queste cose le ho studiate superficialmente e sarà bene che l’onorevole Celli si accapigli con l’onorevole Morin e s’intendano fra loro due. (Ilarità).
Del resto senta, onorevole Celli: io ho conosciuto uno dei più grandi armatori d’Inghilterra con cui ho discusso a fondo su questa questione. Ella sa che la legge inglese prescrive una cubatura maggiore della nostra, ma per dove viaggiano, in quali climi brumosi, quali abitudini hanno quegli emigranti? E devono stare sottocoperta molto più dei nostri, i quali viaggiano per mari dove si può stare più a lungo a bevere
«l’aer dolce che del sol si allegra
E poi tutto in quei paesi è condotto con larghezza, spazio, velocità e anche il vitto. Mi diceva quell’armatore: la cucina a bordo dei nostri piroscafi, che trasportano gli emigranti, è così buona, che io vi dirò cosa, la quale vi parrà forse eccessiva: molti emigrano per mangiar bene durante la traversata. (Vivissima ilarità).
Del resto, cari signori, una applicazione della cucina ai grandi avvenimenti umani richiederebbe molti e molti libri, e sarebbero opera di alta filosofia! Ne domandino ai nostri amici socialisti, i quali dichiarano che l’elemento economico è il solo elemento che formi il progresso della società: e hanno ragione in ciò che è uno dei principali elementi, ma insieme ad altri di carattere ideale che lo integrano, e di cui parleremo quando si discuterà intorno a queste loro dottrine. E basta per ora dell’igiene, tema ponderoso.
E qui, o signori, vengono innanzi le proposte dell’onorevole Sonnino sotto forma di articoli aggiuntivi e quelli dell’onorevole Morpurgo che noi accettiamo.
E taccio di altre, non perché non dia loro l’importanza dovuta, ma per studio di brevità: così accetto la proposta dell’onorevole Valli, che quando si presenta la relazione sull’emigrazione sia posta all’ordine del giorno per obbligare la Camera a esaminarla e discuterla; accetto la proposta dell’onorevole Giusso di una Commissione parlamentare di vigilanza, la quale sorvegli tutto l’andamento di questo servizio dell’emigrazione, siccome si vigilano il debito pubblico e altre cose; ma di tutto ciò discuteremo a tempo opportuno. Qui dobbiamo procedere, come diceva lo scrittore antico, per celsitudinem, non humilium minutias indagare causarum. Ora la Commissione unanime dichiara che il pensiero informatore degli articoli aggiuntivi dell’onorevole Sonnino lo accoglie interamente e con entusiasmo. Lo ringrazio di aver pensato a toglierli da quelle leggi che si dicono urgenti ma dormono polverose da tanto tempo negli archivi della Camera. E poiché essi sono materia viva della nostra emigrazione e la completano, diventano di questa legge l’adornamento, il finimento di cui abbisognava.
È così buono il pensiero che ha mosso l’onorevole Sonnino, che la Commissione ha l’obbligo di dire perché non l’ha fatto essa. Nella nostra relazione noi ricordiamo tanto la legge di reclutamento come la legge della cosiddetta doppia nazionalità. Ma con la fama di usurpatori che l’onorevole Pantano e io ci siamo acquistata per questa legge, non abbiamo voluto procedere oltre invadendo il campo di Commissioni parlamentari alle quali questa materia è assegnata. L’onorevole Sonnino, che più è prepotente di noi (Si ride), ha fatto l’usurpazione classica e gliene diamo lode.
È evidente l’importanza del provvedimento che l’onorevole Sonnino propone alla Camera, e che il Ministero sostanzialmente accoglie.
È evidente, onorevoli colleghi, che tutte le restrizioni contro gli emigranti, le quali dipendono dalla legge del reclutamento, si ritorcono a danno dello Stato e fanno dell’emigrante un malvivente, un disertore, un avversario della sua patria, mentre si domanda che questa, come madre amorosa, gli apra le braccia ogni volta che sia possibile, perdonante e altera dei suoi antichi figli.
Così dicasi per gli impieghi all’estero.
Tutte queste sono idee moderne, che sostituiscono i principî del Codice civile, il quale per tali rispetti, quando fu fatto, non aveva dinanzi il fenomeno sociale dell’emigrazione, con l’importanza che ha presa oggidì. Quindi siamo perfettamente d’accordo intorno a ciò.
La Commissione fa sue le proposte dell’onorevole Sonnino e pregherà lo stesso onorevole Sonnino di venire a esaminarle con lei, assieme ai ministri, compreso il ministro guardasigilli, perché si tratta di toccare il Codice civile che è tale arca santa, che nessuno di noi ha la mano così delicata per farlo, e occorre la voce lene e la mano agevole dell’onorevole Gianturco. (Viva ilarità).
Né qui, onorevoli colleghi, io avrei finito. Del resto voi lo sapete per prova, quale uomo pericoloso sono io, quando comincio a discutere su questi temi.
Voci. No! no!
LUZZATTI, relatore. Ma un pensiero mi preme di mettere innanzi, pigliando l’impegno l’onorevole Pantano e io di colmare le lacune che queste nostre spiegazioni potessero avere ed è, che Governo e Commissione sono disposti ad accogliere tutti gli emendamenti, che, non solo secondo la Commissione e il Governo, ma anche nel concetto degli uomini competenti di questa Camera, contribuiscano a migliorare la legge. È evidente che uno spirito di onesta transazione deve presiedere in questi studi così nuovi e nei quali, a suggello di ogni cosa, deve stare la modestia. Però francamente per togliere ogni illusione, noi non potremo credere onesta transazione, né condiscendenza, l’accoglimento di principî i quali fossero la distruzione di questa legge, per la contradizione che non lo consente, per rispetto di chi proponga alcuni emendamenti radicalmente opposti e per rispetto della Commissione e del Governo che li devono esaminare. Lo spirito di transazione, di equa e mutua indulgenza, finisce là dove comincia il sovvertimento dei principî, ai quali la legge s’informa.
Con questi limiti, che noi custodiremo con grande equità, preghiamo tutti coloro che hanno emendamenti da fare, di volerli presentare subito al banco della Presidenza, perché la Commissione possa esaminarli. In leggi di questa specie, così delicate e difficili, dobbiamo cercare, non con i regolamenti che poco contano, ma con i costumi che molto valgono, di migliorare le nostre abitudini parlamentari e di non far nascere gli emendamenti all’improvviso, gettati in questa Camera, talora con parola calda e brillante, e accolti, per condiscendenza o per stanchezza, e che poi inseriti nella legge stridono con essa e ne sono in aperto contrasto dando alla nostra legislazione la fama di una delle meno coerenti e di un semenzaio di liti, che formano la fortuna di altri agenti di emigrazione. (Viva ilarità).
Questa preghiera, non limita, ne confisca la libertà di nessuno dei nostri colleghi, ma fa apprezzare la equità di una domanda, la quale darà modo anche a noi di renderci conto degli effetti di provvedimenti, che vanno coordinati insieme in una legge, che, appunto perché troppo macchinosa, richiede da parte nostra un esame profondo prima di dare una risposta. È, o signori, con questa preghiera e con questa speranza che vi raccomando questo disegno, che non è né un trovatello, né un aborto, né un mostricino, ma un figliuolo legittimo dello studio di galantuomini e della fede di uomini di cuore, i quali hanno creduto di poter congiungere in questi provvedimenti le ragioni del diritto e le ragioni della benevolenza umana, traendone uno di quei tipi di legislazione italiana, di cui parlava con calda ed eloquente parola oggi l’onorevole Fani, volta a ristoro dei nostri emigranti. Tutta la
Camera, socialisti, individualisti, sociologi e la maggior parte dei deputati, la quale giudica bene perché non aspira a essere nessuna di queste cose (Si ride), si riuniranno tutti in un pensiero comune, nel pensiero di far sentire alla nostra gente, che emigra, che è giunto il giorno, nel quale questo Parlamento non può e non vuole esser estraneo né ai suoi dolori, né ai suoi bisogni. Noi abbiamo udito le doglianze di tutti, la voce degli agenti di emigrazione, la voce degli agenti marittimi, la voce dei noleggiatori, la voce degli armatori; tutti gli interessi si sono messi innanzi competizioni di varie specie; tutti li abbiamo esaminati questi interessi e abbiamo avuto, o signori, l’ingenuità di credere spesso agli uni quando accusavano gli altri, poiché in queste rivelazioni reciproche degli interessati sta il vero progresso della economia sociale!
Quando in Inghilterra gli industriali accusarono i proprietari delle terre di affamare il popolo con dazî altissimi sui cereali, allora i cereali valevano 38 o 39 lire, per vendicarsi degli industriali e per giusta rappresaglia, i proprietari delle terre rivelarono gli abusi delle fabbriche. I lavoratori erano gli assenti, ma approfittando di queste accuse mutue ebbero l’abolizione dei dazi e la legge sulle fabbriche. Noi approfitteremo delle accuse degli agenti contro gli armatori, e degli armatori contro gli agenti per dare riposo e conforto, per quanto è possibile, a questa travagliata schiatta dei nostri emigranti. Mirabile gente, in verità! Io li vedo nell’istante, in cui ora parliamo, imbarcarsi a Genova e recarsi nel Plata per giungere a tempo a mietere le messi dell’America del Sud, dopo aver mietuto quei biblici sudori della loro fronte quelle del paese natio, e, infaticabili come le forze primordiali della natura, si affretteranno poi a ritornare in patria per riprendervi le opere campestri nella mite primavera nostra!
L’italiana anima mia esulta che noi alberghiamo una schiatta di così forti lavoratori, la quale feconda col lavoro i due Mondi e ne domina le stagioni diverse! (Applausi). È in nome di questi miracoli di operosità sana, grande e semplice come la rude virtù, che io vi chiedo, o signori, di approvare i provvedimenti a favore di tanta eletta parte dei nostri figli. (Benissimo! Bravissimo! – Vivissimi applausi – Moltissimi deputati vanno a congratularsi con l’oratore).

Luigi Luzzatti, Discorsi parlamentari, Volume II (1900 - 1920). Roma, Camera dei deputati. Archivio Storico, 2013.






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