martes, 28 de marzo de 2017

L'albergo degli emigranti, de Nilo Zanardi (2008)



«Alberto entrò, spinto dalla curiosità e dal caldo afoso dell’estate argentina. L’Asociación “Amigos Centro Cultural Recolecta” ospitava una mostra d’arte contemporanea. L’atrio era avvolto nella penombra. dallo scalone di marmo piovevano freschi pallori di luce che rimbalzavano sulle bianche pareti e i soffiti alti. Un silenzio di refrigerio lo fece sentire rinato. Lì fuori, il sole tempestava con i suoi raggi accesi, rendendo l’aria densa, ottenebrata, in cui ogni cosa appariva ferma, sospesa.
Si immerse con voluttà nella frescura della prima sala, dove oggetti di forme e colori fantasiosi si ergevano come totem di una religione impossibile.
A lui non piaceva molto quel genere d’arte; per lo più non gli faceva provare alcuna emozione. Non sapeva se per questo non gli piaceva o perché non la capiva. Continuava a chiedersi se l’artista, ogni artista, con la sua opera, vuole comunicare qualcosa, un’idea, un sentimento o se esprime solo se stesso per se stesso; se vuole allestire un palcoscenico per mettersi in mostra o creare un teatro in cui la mimési dell’essere uomo faccia echeggiare un sentimento nella spettatore. Ma, forse, egli veramente non la capiva quell’arte.»


Nilo Zanardi, L’albergo degli emigranti. Cagliari: Zonza Editori, 2008.

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