SUL PROGETTO DI LEGGE
IN MATERIA DI EMIGRAZIONE
29 NOVEMBRE 1900
LUZZATTI LUIGI, relatore.
(Segni di attenzione). L’onorevole
mio collega Pantano, nella esuberanza della sua eloquenza, ha ieri mietuto
quasi interamente il campo assegnato alla presente discussione, e nella bontà
dell’animo suo ha voluto persino rispondere ad alcuni appunti personali, che mi
erano stati mossi dall’onorevole Pantaleoni.
Già questa legge contiene qualche cosa di prodigioso
rispetto ai consensi parlamentari, imperocché non solo ha generato
quest’accordo fraterno di due uomini usi a combattersi nella politica; ma si è
visto generarsi persino il consenso che da tanto tempo, con mio rammarico,
mancava, tra l’onorevole Sonnino e la Commissione, la quale ho l’onore di
rappresentare. (Si ride).
Qui siamo quasi tutti consenzienti nello affermare che i
mali ai quali si deve porre riparo non tollerano dubbi o contrasti. Liberisti e
intransigenti, sociologi equi, socialisti, da qualsiasi scuola muovano, a
qualsiasi dottrina si affidino, nessuno può disconoscere la necessità di alcuni
provvedimenti, i quali facciano cessare questo spettacolo vergognoso, da cui esce quel pianto delle cose dolenti, di
cui parla il poeta latino.
Però nei metodi dissentiamo. Ed è qui il bello, l’alto,
il nobilissimo senso di siffatta controversia, in cui schierati l’un contro
l’altro, sempre in nome della pietà degli emigranti, si avvertono scuole,
disegni, idee diverse tra loro opposte. Il che innalza questo Parlamento, che
da tanto tempo sentiva il bisogno di una controversia, la quale lo portasse in
più spirabil aere.
L’onorevole Pantaleoni (a cui non ritorcerò nessuna
accusa personale, neppur quella di aver potuto essere anche lui,
senz’accorgersene, perché sono strumenti irresponsabili, il fonografo di qualcheduno,
per esempio, degli agenti di emigrazione) (Si
ride), l’onorevole Pantaleoni ha nella mente mia, quando parlava, destato
il ricordo di un’altra grande controversia sorta in questo Parlamento nel 1874,
quando un uomo a cui non si dorrà che io lo compari, Francesco Ferrara, sorse
per una tesi non eguale, ma somigliante, a sostenere le dottrine, delle quali
si è fatto autorevole interprete l’onorevole Pantaleoni.
Si discuteva in questa Camera, nella fida compagnia di
Quintino Sella, l’opportunità di integrare la deficiente energia del risparmio
libero con le Casse postali. Sorse l’onorevole Ferrara a negare questa azione
dello Stato in nome delle più pure e astratte dottrine del liberalismo
economico. E come oggidì l’onorevole Pantaleoni, allora all’onorevole Ferrara
profetava che gli effetti di questa ingerenza sarebbero stati fatali
all’economia nazionale, perché il risparmio libero si sarebbe rattrappito, lo
Stato avrebbe costretto nelle sue mani i piccoli capitali di tutto il paese,
con grandissimo danno della produzione e del credito. Tutti questi tristi
presagi si dileguarono, come ombre vane, e alla scuola economica, rappresentata
dall’illustre uomo, toccò un’amara delusione, poiché si è veduto avverarsi ciò
che allora noi sostenevamo, che il risparmio libero e quello postale, in bella
e feconda gara, si sarebbero aiutati a vicenda con l’onore, con la gloria e con
l’aumento dell’economia nazionale. (Bene!)
Ora, onorevole Pantaleoni, qual’è quella specie di
intervento oggi invocato a tutela ell’emigrante?
È un intervento legittimato dalla sana dottrina di una
equa libertà economica, non intesa come il dogma di uno Stato inerte, che non
si curi di nessun dolore e di nessun male, ma quale integrazione di forze
deficienti delle energie individuali, e costituente, nei casi di necessità, un
supremo dovere dello Stato.
E invero per questa legge come si esplica l’azione dello
Stato? Il primo suo compito è uno di quelli che nessun economista, persino il
più liberale, può ad esso rifiutare: spargere intorno a questo problema oscuro
fasci di luce, cercare di costituirsi in ufficio dirette e oneste informazioni.
(Benissimo!) Ma questo può non
bastare, e allora lo Stato continua a svolgere questo compito suo nel senso
della libertà economica e sociale, rimovendo gli ostacoli che possono
attraversare la via allo emigrante.
E, ove occorra, lo Stato si adopera a integrare la
deficiente attività, la deficiente energia, le insufficienti resistenze degli
emigranti, con la sua vigilante azione. Solo in momenti estremi, quando la
necessità suprema lo imponga, lo Stato passa in prima linea e fa. Ma quando in
questi casi lo Stato passa in prima linea e fa, somiglia all’esercito di
riserva, il quale deve tenersi sempre lontano dalla fronte della battaglia,
sino a che costretto a entrare nel posto del pericolo vince la pugna, a cui il
corpo principale dell’esercito liberatore non avrebbe potuto bastare. (Benissimo!)
Onorevole Pantaleoni, noi avremo, lo spero, più volte
occasione di discutere insieme in questa Camera, per dissentire e talora anche,
il che sarà forse gradito a Lei come sicuramente lo sarà a me, per consentire.
(Segni di assentimento del deputato
Pantaleoni).
Ma, pur ponendo fede superstiziosa nella dottrina delle
armonie economiche, per effetto della quale si professa che le concorrenze,
sotto l’azione preservatrice della legge comune, finiscono per correggere le
loro deviazioni e produrre spontaneamente il maggior benessere sociale, come
non si avvede che in quest’oscuro e complicato fenomeno della emigrazione le stridenti
perturbazioni sono tali e tante che la legge economica delle armonie viene
meno, perché si deve attuare in un ambiente guasto, denso di errori, di
interessi, dinanzi ai quali non vi è principio teorico che possa reggersi cimentandosi
con la realtà dei fatti? E, onorevole Pantaloni, queste dottrine delle armonie
economiche, in quante occasioni, nella nostra legislazione non trovano il loro
naturale limite nella tutela sociale e nella evidenza delle utilità sociali?
Quando si presenteranno leggi di tutela degli operai a somiglianza di quelle
del Parlamento inglese ed Ella opporrà i suoi principii delle armonie economiche,
noi lasceremo, per riguardo a Lei, che i deboli, che gli oppressi, che i
derelitti, coloro i quali non possono da sé integrare il loro compito nel mondo,
siano sacrificati e non sieno tutelati e protetti come le sane regole educative
concordate con quelle della igiene richiedono?
Ricordo come i suoi predecessori d’Inghilterra, quando
cominciò in quel paese la memoranda battaglia a favore della educazione
obbligatoria e della igiene obbligatoria nelle fabbriche, onde si ebbe quella
mirabile legislazione della tutela del lavoro, che salvò le generazioni inglesi
dalla atrofia dell’industrialismo, ricordo come i suoi predecessori
dell’Inghilterra invocarono la dottrina delle armonie economiche sostituita a
quella della tutela sociale nelle fabbriche; ma ricordo anche che quando
l’Inghilterra, dove l’economia politica è nata, dove ebbe il suo culto più pieno e là
ancora, in nome delle astrattezze scientifiche alleate cogli interessi dei
fabbricanti la scienza pura si oppose alla legge sulle fabbriche, sorse un
grido da tutti i centri operai, sorse un grido da tutte le coscienze degli
igienisti e da tutti i cuori dei disinteressati, che sono i più e decidono le
vittorie a favore del progresso sociale, grido conclamante: Qui la libertà
economica si ferma, perché qui si comincia l’omicidio legale di tanti deboli,
ai quali noi dobbiamo portare il nostro aiuto, a tutela della integrità fisica
e morale della nazione! (Benissimo! –
Approvazioni).
E non basta, onorevole Pantaleoni; vi è oggi tutta una
serie di leggi, tutta una serie di provvedimenti, nei quali l’azione delle
armonie economiche ha fatto fallo per effetto dei nuovi e più complicati
rapporti fra il lavoro e il capitale, e dove è richiesta l’azione prudente,
integratrice e ausiliatrice dello Stato. Io non so se Lei voterà il disegno di
legge presentato dall’onorevole Sonnino intorno ai contratti agrari. Dichiaro
qui, innanzi alla Camera, che gli invidio la sua iniziativa e che, per rifarmi
dall’avermela lasciata prendere, cercherò di completare in alcuni punti quei salutari
provvedimenti! Ma che cosa è un disegno di legge sui contratti agrari sul tipo
di quello dell’onorevole Sonnino? È una azione integratrice della legge
positiva, la quale afferma la insufficienza della concorrenza fra il lavoro e
il capitale a poter dare al lavoratore della terra le guarentigie essenziali,
senza le quali si corrompe e si esaurisce la nostra razza, il capitale diventa capitalismo, sopraffacendo ogni specie di iniziativa del
lavoratore.
Così, onorevole Pantaleoni, la necessità delle cose, le
vaste e profonde complicazioni dei rapporti sociali hanno modificato le
teoriche degli economisti intransigenti. E per fortuna del nostro paese, un
senso di equità, che associa i principi dell’individualismo con la beneficenza
e con la tutela dei deboli, ha sempre costituito il carattere della scuola
economica italiana, la quale non si è lasciata traviare dalle seduzioni del socialismo,
né dalle esigenze di un individualismo eccessivo e intransigente.
Se noi consideriamo, per esempio, nei contratti agrari la
tutela del lavorante, la si trova risalendo al medio evo nelle consuetudini di
Milano coi miglioramenti operati nelle terre, che i padroni avevano l’obbligo
di rimborsare, nelle consuetudini dei migliori nostri Comuni agrari. Il beneficium competentiae, che oggi si
direbbe leggi di Homestead, di
inviolabilità del minimo dei mezzi, che occorrono al lavorante per vivere e per
coltivare il suo piccolo fondo, lo si riscontra in Italia, nei nostri
Comuni sin dal medio evo, ubbidienti non alla sapienza delle dottrine
economiche assolute, ma alle necessità reali della vita di un popolo, che non
ha mai dissociato la grandezza e la cura del capitale dalla grandezza e dalla
cura del lavoratore.
Noi verremo una buona volta a questa controversia e
discuteremo tra scuola e scuola; e allora, se i socialisti ce lo permetteranno,
noi ci proveremo anche a discutere i fondamenti delle loro dottrine, imperocché
finora essi ebbero facile giuoco nel proclamarle in questo Parlamento, e
nessuno sorgendo a contraddirle di fronte, essi che non sono modesti,
quantunque sapienti, (Ilarità – Benissimo!)
le dichiararono inconfutabili. (Ilarità –
Il deputato Pantaleoni interrompe).
So, onorevole Pantaleoni, che a Lei sarebbe facile e
piacevole giuoco la formula, che alcuni giorni or sono, ragionando con sottile
dialettica (sottile come la sua persona, del resto simpatica) (Ilarità), poneva: o individualismo o
collettivismo, il collettivismo di quei signori, additando i socialisti.
No, no, si disinganni, onorevole Pantaleoni, noi non le
meneremo buona questa sua formula: né individualismo come Lei lo professa, né
collettivismo socialista quale lo professano quei signori, ma una dottrina di
equità e di bontà, la quale concili, per quanto è possibile, con gli interessi
del lavoro, gli interessi del capitale, sotto l’azione di quel metodo
sperimentale che è nostro, che dall’Accademia del Cimento fu applicato alle scienze
naturali, e noi vogliamo applicare anche alle scienze sociali. Quel metodo ci
lascia la speranza che «provando e riprovando» col sentimento di solidarietà
che collega la ricchezza alla miseria, la coltura all’ignoranza, si finisca per
trovare quelle formule che non sovvertono le società, come vorrebbero i
socialisti, ma non lasciano gli umili, i derelitti a consumarsi nella rabbia
dei loro dolori irredimibili... (Applausi
vivissimi).
Una voce. Alla prova!
LUZZATTI, relatore. Alla prova, alla prova. Non so chi mi
abbia interrotto, ma spero che questi vorrà permettere a un uomo, che da tanto
tempo studia e si occupa di queste materie, di potere almeno cimentarsi a
discuterne con l’ignoto interruttore. (Ilarità).
Certo, lo ripeto, voi vi presumete sapienti, ma non siete modesti. (Bene! Bene! – Ilarità – Interruzioni alla
estrema sinistra e del deputato Costa).
Del resto, onorevole Costa, Ella sa che ne abbiamo
discusso insieme qualche volta, con molta libertà di parola, Lei e io, dinanzi
ai Comizi popolari, e siamo usciti fuori senza sbranarsi. (Si ride). Ma lasciatemi andare avanti. (Si ride).
Quindi faccio piena riserva intorno alla qualità di
queste dottrine che ci si oppongono. Noi siamo risoluti a non lasciarci
prendere la mano da nessuno nello studio di questi problemi sociali, orgoglio e
tormento del tempo nostro, a proporre le nostre soluzioni, ed eccitiamo il
Governo ad assecondarci; ove non lo facesse lo suppliremo noi (non lo
sostituiremo, Dio ci guardi) se la sua opera fosse insufficiente, perché non
vogliamo lasciare quest’alta impresa e lo studio di queste questioni soltanto a una parte
della Camera. (Benissimo! Bravo!)
La Camera deve occuparsi di tutti questi vitali
interessi, tranne coloro, s’intende, che colla teoria delle armonie economiche,
dichiarano, alla maniera dell’onorevole Pantaleoni, che tutto va per il meglio
nel migliore dei mondi possibili. (Si
ride).
Non abbandoneremo ai socialisti il monopolio dei problemi
sociali!
E ora entrando nell’esame di questa legge, ho udito in
questi giorni da oratori eminenti, e comprendo in essi, s’intende, gli
onorevoli Pantaleoni e Giusso, obbiezioni che hanno prodotto un certo effetto
sull’animo mio. In queste materie nuove e complicate, provare e riprovare non è
soltanto un dovere, ma una necessità; coloro i quali credono di poter risolvere
in modo indefettibile e infallibile un problema di tal fatta, per ciò solo
mostrano una grande infermità intellettuale. Io ricordo come uno
degli scrittori più illustri del nostro secolo, il Guizot, parlando dei
provvedimenti di carattere sociale, li qualificasse con una sentenza aurea,
rimasta impressa nell’animo mio: «In provvedimenti di questa specie (dice
Guizot) le speranze più modeste divengono nella realtà presuntuose». E in
verità, o signori, quante volte abbiamo veduto coi migliori intendimenti
iniziarsi dei provvedimenti sociali, che non risposero alle concepite speranze?
E qui rispondo all’onorevole Sonnino, che di questa aspettativa nel paese
faceva quasi un rimprovero alla legge, e poi ne trasse la conclusione, dolce al
mio cuore, di votarla. (Si ride).
Anche la legge delle fabbriche che costituisce la legislazione del lavoro inglese,
alla cui ombra riposano le stanche falangi di quei liberi e forti lavoratori, nacque
nel 1803 e poi successivamente ebbe più di cento rettifiche.
Ora qual meraviglia se anche la nostra legge, a cui
affidiamo oggi un seme felice, potrà essere argomento di ulteriori ritocchi?
Quindi ne parlo con una grande modestia, senza presunzione di speranze
smisurate, ma non voglio rimpicciolirla tanto da togliere ogni fiducia sui suoi
salutari effetti. Il mio amico personale, l’onorevole Pantano, ieri, con
quell’ardore che l’alto tema gl’inspirava, mi ha quasi tutta preclusa la via;
ma l’argomento è così vasto che ha lasciato ancora qualche punto da spigolare.
Lo ringrazio di questa sua condiscendenza, imperocché dopo il suo discorso ben
avrei potuto tacere senza danno della legge e fu lui a costringermi a parlare.
Le obbiezioni sostanziali a cui non ha interamente
risposto l’onorevole Pantano, messe innanzi con grande abilità, sono le
seguenti:
La legge è troppo complicata e macchinosa;
La legge crea dei nascondigli di disavanzo con la cassa
aperta per il fondo di emigrazione;
La legge crea una burocrazia, la quale dovrà allargarsi
per la tendenza che ha la burocrazia italiana a vegetare mirabilmente;
La legge non è abbastanza completa perché non cura alcuni
punti della vita degli emigranti, i quali dovrebbero essere argomento di
principali cure in provvedimenti di tal fatta; è insomma deficiente dal lato
igienico.
Potrei parlare di altri appunti, ma qui mi fermo perché
ne dovremo ragionare alla discussione degli articoli. Sarà allora il caso di
esaminare alcune osservazioni molto importanti fatte dagli onorevoli Bonin,
Valli, Morpurgo e da altri colleghi, dei quali in questo momento non mi
soccorre il nome. Ora esaminiamo con molta calma, con molta serenità, senza
alcun pregiudizio di infallibilità (ma da una parte e dall’altra, onorevole
Pantaleoni) il valore di queste obbiezioni.
E cominciamo dalla prima. La esponeva l’onorevole
Sonnino: la legge è troppo complicata, troppo macchinosa, entra in troppo
minute specificazioni, in troppo minuti particolari; era meglio affidarli al
regolamento, perché il regolamento è mutevole e può seguire, meglio della
legge, gli impulsi della esperienza.
Non è a credere che il nostro Parlamento possa ogni anno
raccogliersi a esaminare le modificazioni della legge sull’emigrazione; quindi
val meglio affidarsi al regolamento, il quale seguirà di continuo i portati
dell’esperienza. E l’onorevole Giolitti, con molta autorità, parlandomi ieri,
non qui nella Camera, ma privatamente, di questa legge, alla quale consente, mi
pare, il suo suffragio, mi diceva che, pur votandola, doveva fare una obiezione
somigliante a quella dell’onorevole Sonnino. Non è vero,
onorevole Giolitti?
GIOLITTI. Sì.
LUZZATTI, relatore.
Quindi noi abbiamo due santi padri di questa Camera che concorrono nell’eguale
obiezione.
DEL BALZO CARLO. Non stati canonizzati! (Si ride).
LUZZATTI, relatore.
Hanno avuto anche la opposizione anticanonica da Lei; quindi c’è la
consacrazione sufficiente. (Ilarità).
Consento che la legge, quale è, pare troppo macchinosa; se gli onorevoli Giolitti
e Sonnino vorranno indicarci quali parti di essa, senza nuocere all’organismo
dei nostri provvedimenti, possano passare nel regolamento, li assicuro in nome
della Commissione, di cui esprimo l’unanime pensiero, che saremo lietissimi
d’accogliere le loro osservazioni.
Ma devo a questo proposito fare una osservazione di carattere
sostanziale, non formale.
Vi è una differenza necessaria di redazione fra le leggi
di carattere giuridico fissanti unicamente, o principalmente, rapporti di
diritto, e quelle di carattere sociale. Le leggi di carattere giuridico possono
avere quella imperatoria brevitas,
quella chiarezza che la natura giuridica trae seco; ma le leggi di carattere
sociale, le quali regolano più che rapporti di diritto rapporti di interessi,
appaiono in tutti paesi del mondo molto più complicate e voluminose.
Prendete, per esempio, le leggi sociali inglesi o
tedesche e vi troverete una tale complicazione che non ha riscontro con la
snellezza e con la semplicità di altre leggi di carattere giuridico. È nella
natura di questi provvedimenti il contenere, anche nelle loro forme esteriori,
delle complicazioni che emanano dal carattere delle cose. Però torna inutile
che insista sul nostro desiderio di assecondare indirizzi così legittimi e voti
così autorevoli.
Ma diceva ieri l’onorevole Sonnino, che era in vena e
parlò con felicità particolare (Si ride):
«Stia in guardia la Camera contro il fondo d’emigrazione!»
E aggiunse delle osservazioni notevoli sulle tasse, toccò
molte questioni di una delicatezza straordinaria che la Commissione, la quale
non ha nulla da nascondere, deve con grande sincerità esaminare. L’onorevole
Sonnino sa che io, nella mia azione finanziaria in questa Camera, ho dato la
caccia a tutte quelle casse, cassette e fondi speciali che chiamammo
nascondigli del disavanzo, e per fortuna nostra furono snidati e abbattuti,
colla speranza che più non si riproducano. In questo punto il voto
dell’onorevole Sonnino non può essere diverso dal mio, perché insieme abbiamo
combattuto per la felice chiarezza e unità del bilancio, senza cui ogni
sindacato parlamentare è vano e insufficiente.
Ma come nacque questo fondo di emigrazione? Nacque (e
l’onorevole Sonnino ne ha fatta una buona analisi) dalla titubanza, dalla
timidità, legittime l’una e l’altra, del ministro del tesoro, il predecessore
dell’onorevole Rubini, (l’onorevole Rubini sarebbe, in questa materia, anche
più titubante e più timido del suo predecessore); il quale, quando si venne
innanzi con l’idea della legge dell’emigrazione, ci disse (e pur l’onorevole
Boselli è così competente in questa materia): non parlatemi della emigrazione;
ne rimango estraneo; se voi mi garantite che il bilancio dello Stato non ne
avrà nessun carico, vi do la mia adesione; altrimenti vi metto un veto. Sarebbe
stato un veto dolce, come quelli che usa fare l’onorevole Boselli; ma non sarebbe
stato, per questo, meno efficace. E allora il ministro degli esteri chinò la
testa.
Il desiderio di avere questa legge era tale in lui, la
necessità di avviarla con dei fondi così evidente, che egli e noi abbiamo
dovuto piegare e appigliarci a questa forma di costituzione di un fondo
speciale per gli emigranti.
Ma vi è anche un’altra ragione che ha fatto sì che non si
siano portate in bilancio, nell’entrata, i proventi, e nelle spese del
Ministero degli affari esteri, le erogazioni. E qui, non ditemi poeta.
Quando questa legge sarà avviata, quando sarà posta in
pieno vigore, quando Parlamento e Nazione saranno costretti a esaminare
siffatti fenomeni pieni di vergogne silenziose, pieni di oscure complicità,
oggi sottratte al nostro studio, una corrente di simpatia si determinerà sempre
più nel nostro paese a favore di questi forti, che chiamai (alcuni ne risero) «il fiore di nostra gente
infelice», gli emigranti, e ho la speranza che qualche sfruttatore di emigranti
(in questa Camera, si sa, non ce n’è alcuno) qualche sfruttatore di emigranti,
agente di emigrazione, o armatore che sia, giunto alla sera della vita, in quel
momento in cui i vecchi apparecchiano la mente ai casti pensieri della tomba,
come dice Manzoni, (Si ride) senta il
bisogno di restituire un po’ della maltolta moneta, (Viva ilarità) e lasci a questo fondo di emigrazione, che ha la sua
costituzione distinta, assegni e lasciti. E, se non saranno costoro a far
questo (peggio per loro, vorranno male, e io che credo alla vita futura, li avverto
che non l’avranno in loco lieto) (Si ride)
e se non saranno costoro, onorevoli colleghi, vogliamo credere che sia
inaridita la fonte della pietà nel nostro paese, e che quando noi daremo ad
essa una direzione certa, una direzione nuova, essa non si avvii ad alleviare
tante miserie, che erano fin qui ignote e celate?
Ma non si lascia l’eredità a un capitolo del bilancio; (Si ride) la si lascia a un fondo
speciale, amministrato dallo Stato. Per esempio (e ne fu taciuto; e colgo qui
l’occasione per rispondere a una giusta raccomandazione dell’onorevole Casciani),
il fondo di emigrazione si alimenterà, oltre che delle tasse pagate dai vettori
(e dimostrerò e darò prova alla Camera che non possono avere riverberazione o
la avranno lievissima sui noli)... è forse presunzione la mia di cimentarmi in
dimostrazioni di tal fatta, in una Camera dove siede un uomo, il quale sulla
traslazione di tributi scrisse un libro che ha insegnato tante cose anche a me
e rimarrà...
Voci dall’estrema
sinistra. Chi è?
Altre voci. Pantaleoni.
LUZZATTI, relatore.
Chi è? Lo dovreste ben sapere voi che l’ammirate più di me! (Si ride) Ma torniamo al punto donde era mosso il mio discorso.
Un altro fondo di entrate si trarrà dal Banco di Napoli,
a cui è affidata la esecuzione della legge sulle rimesse degli emigranti, la
quale, già presentata da alcuni Ministeri, verrà fra qualche giorno alla
Camera, avendone pronta la relazione. Fu sapiente il divisamento di dare questi
uffici al Banco di Napoli, anche perché è l’Istituto più conosciuto dalla
maggior parte dei nostri emigranti, e si è fissato che una buona parte degli
utili del Banco vadano a impinguare il fondo di emigrazione.
Questi utili nei primi anni saranno lievi, ma nei
successivi ingrosseranno, perché io che ho dovuto studiare questo tema, il
quale costituisce un’altra delle nostre vergogne, un’altra delle spogliazioni
che non hanno nome, mi sono avveduto che se in Italia tanti si arricchiscono a
danno degli infelici emigranti, negli Stati Uniti di America se ne
arricchiscono anche molti nostri piccoli banchieri o cambisti, che potremo
meglio qualificare, con forma molto più rude, usurai.
Quindi anche facendosi dal Banco di Napoli questo nuovo
servizio con grande prudenza, gli utili saranno sempre di parecchie centinaia
di migliaia di lire, non tolte agli emigranti, ma rappresentanti gli onesti
avvedimenti dei cambi e degli impieghi.
Ora a me piace che il Banco di Napoli per questi assegni,
in cui concorre con gli utili ricavati dal denaro degli emigranti, non li versi
in un capitolo del bilancio, ma nel fondo della emigrazione. Però saremmo poco
cortesi se a un uomo che ha reso tanti servizi alla legge, che l’ha tanto
aiutata, l’onorevole Sonnino, non si recasse qui il ramoscello d’ulivo e non si
facesse una proposta la quale, se non è quella che egli desidera, pur deve
appagarlo. Io non ho interrogato su questo punto i miei colleghi della
Commissione; me ne daranno venia: è un’idea che si è formata ora nella mia
mente e, se non vi consentiranno, naturalmente la ritirerò. L’onorevole Sonnino
ha detto una cosa brutale, ma giusta: un allegato del bilancio del Ministero
degli esteri nessuno lo legge; ha ragione, perché molti, purtroppo, non leggono
neanche i bilanci; figuratevi poi gli allegati! (Si ride).
M’impadronisco di questa sua obiezione e vorrei
correggere la nostra legge dichiarando che il relatore del bilancio degli
affari esteri sarà obbligato a presentare alla tribuna, insieme alla relazione
del bilancio, quella sul fondo di emigrazione e che la Camera dovrà esaminare e
votare questo fondo speciale, non confuso col bilancio degli affari esteri, ma
come un bilancio a sé. Spero che l’onorevole ministro degli affari esteri non
avrà alcuna difficoltà ad acconsentire a questa proposta e così noi avremo
conservato a questo fondo il suo carattere speciale, che acquista quel particolare
sapore che vi ho indicato, e dall’altra parte sarà tolta la possibilità che in
un allegato si dimentichino o si creino quei debiti occulti dei quali sono
avversario accanito al pari, se non più, dell’onorevole Sonnino. (Commenti).
Il mio amico Lacava, che mi dà sempre dei consigli
preziosi, mi dice che così si fa anche per il fondo del culto e per le spese di
beneficenza e di religione della città di Roma.
Abbiamo un precedente; quindi la nostra coscienza, in
pace coi precedenti, si è molto alleggerita. (Si ride).
L’altra obiezione su cui si intrattenne il mio amico
personale Giusso, amico anche politico e quasi economico in parecchie
questioni... (Commenti – Ilarità).
Sì, va bene il quasi; voi vi meravigliate del quasi, ma
trovate voi in questa Camera due cervelli che pensino nello stesso modo sopra
il più chiaro e semplice argomento economico, che pur non dovrebbe dividere?
Trovateli! (Si ride).
L’onorevole Giusso si è spinto fino a tacciare di
vergogne di questa legge la tassa sui vettori, e con la solennità che dà aiuto
alla sua eloquenza ha ingrossato la voce e l’ha fatta più cupa del consueto. (Si ride)
Pareva quasi che in questa Camera si agitassero fiamme di
vergogna, uscenti da questa nostra legge, pur così immacolata, solo perché
alcune sue disposizioni non corrispondono ai gusti dell’onorevole Giusso...
Onorevoli colleghi, non trattiamo le ombre come cosa
salda ed esaminiamo le questioni con quella serenità che l’argomento richiede.
Nel disegno di legge, e con un decreto reale, che con
esso si collega e da esso piglia la sua ispirazione, escirono dei provvedimenti
ottimi sui passaporti degli emigranti, che semplificano, sollecitano, tolgono
le spese.
Ora io non voglio infastidirvi con la lettura di molti
numeri; l’onorevole presidente permetterà che li alleghi al mio discorso: così
serviranno di commento e di bersaglio agli ulteriori studi degli agenti di
emigrazione. (Si ride).
I risultati sono i seguenti: il costo di un passaporto
per una famiglia di emigranti, contadini, braccianti, operai, per le spese vive
del passaporto, è di lire 10 all’incirca; se si tenga conto di tutte le altre
spese per le domande al distretto per i militari in congedo, documenti
eventuali, domande al prefetto, di tutte le spese che richiedono i sub-agenti
di emigrazione, ferrovia, posta, telegrafo, ecc. (naturalmente i sub-agenti non
le ingrossano ed è provato che essi sono di un candore superiore di coscienza) (Si ride), si può arrivare a una somma di
20 lire.
Qui si taglia netto su tutto ciò, e il mio amico Giusso
si aggiungerà a me nel divulgare la notizia che per effetto di questa legge un
beneficio reale e tangibile fluisce a quei contadini, fra i quali egli temeva
il malumore che si desterebbe per la tassa di emigrazione.
Cominciamo dunque a ben chiarire che i lavoratori che
emigrano hanno da questa legge beneficii diretti e chiari, il che qui è
provato, e se pubblico i documenti vuol dire che oso esporli alle censure di
tutti quelli che in questo momento non amano le mie parole in contrasto coi
loro interessi.
Ma, si dirà, chi pagherà questa tassa? La pagheranno i
vettori e la dimostrazione è facile.
Oggidì gli agenti di emigrazione nei trusts pigliano una provvigione fissa, più una partecipazione.
Trattasi di un contratto di partecipazione, non di quelli che piacciono
all’onorevole Sonnino e a me (di partecipazione dei lavoranti ai profitti
legittimi dell’azienda), ma è un contratto di partecipazione dei parassiti sul
profitto fatto alle spalle dei poveri emigranti. (Commenti).
E non si può definirlo in altro modo, perché non mi sono
mai potuto figurare la importanza di quest’organo intermediario, il quale si
mette fra il vettore e l’emigrante; sfrutta l’uno e l’altro, senza dare alcun
tributo di intelligenza e di lavoro effettivo. E io, quando di questi organi
intermediarii ne trovo nell’umana società, cerco di cacciarli ed è per questo
(me lo perdoni l’onorevole Pantaleoni, che ricordava forse con un po’ d’ironia,
come è costume della sua parola, il mio affetto per la cooperazione), è per
questo che amo la cooperazione intesa a escludere gli organi intermediari che
si pongono fra la produzione e il consumo e non sieno indispensabili.
Ora, tolto di mezzo l’agente di emigrazione,
evidentemente diminuiranno le provvigioni e, diminuite le provvigioni, il primo
obbligo del Commissariato,in questi ventuno elementi che costituiscono il nolo,
e di cui uno è la senseria, sarà quello di veder bene che, essendosi i sensali
sostituiti coi rappresentanti diretti del vettore, questi saranno pagati molto
meno di quello che non lo siano oggidì gli agenti nell’accaparramento
universale, vergognoso e vertiginoso di merce emigratoria che si vende. E
perciò altro che quelle otto lire si risparmieranno al vettore! Si risparmierà
ben più di quelle otto lire, le quali saranno cavate non dai noli, ma dai
risparmi che i vettori faranno anch’essi sulle tasse ben più gravi che pagano
agli agenti di emigrazione.
Però l’onorevole Sonnino diceva: tutto non riverbererà;
ma a quest’altezza di otto lire un poco riverbererà. Egli può credere che se io
dò valore a questa sua osservazione ed alle considerazioni che ha fatte, e su
cui potrei estendermi anche più, se allora non m’incalzasse. E in nome della
Commissione, ove il Governo non si opponesse, non avrei difficoltà di diminuire
la tassa sui vettori; e, se egli farà una proposta, e che il Governo ci
assecondi, di diminuzione equa e ragionevole, la quale non riduca troppo il
bilancio dell’emigrazione (si pensi che più si riduce questa tassa più pesa
sicuramente ed esclusivamente sul vettore e non sull’emigrante), la Commissione
prenderà in equo esame una siffatta proposta col desiderio di intendersi.
Ma fin d’ora dichiaro che di questa tassa, costituente
l’elemento principale delle istituzioni di presidio degli emigrandi, che tutti
hanno chiesto in questa Camera, e lo tutelano amorosamente prima dell’imbarco,
nel viaggio e all’arrivo, se noi riduciamo a troppo sottil somma il suo
provento, evidentemente mancheranno i mezzi, finché si avviino tutti
quegl’impulsi morali dei quali ho parlato, per poter far fronte alle spese del
servizio di emigrazione.
Ma l’amministrazione è troppo macchinosa! E qui io
pregherei la Camera di consentirmi (ed è il solo che abbia fatto finora) un
breve ricordo personale. Ho la coscienza di aver dato nei miei uffici pubblici,
la caccia, il più possibile, agli impiegati inutili. Rispetto, amo i nostri
prodi e buoni funzionari, ma credo che il modo peggiore di servirli sia quello
di continuare a crescerne il numero; il che va a danno specialmente dei
funzionari esistenti.
Quindi aveva presentato un disegno di legge per effetto
del quale, tranne che nella pubblica istruzione, per cinque anni si
chiudevano tutti i concorsi per le pubbliche amministrazioni, ammettendo il
principio che gl’impiegati che c’erano bastavano.
E d’accordo con l’onorevole Rubini, quando era presidente
della Giunta del bilancio, ho chiuso la via a quella germinazione sporadica e
interessata d’impiegati straordinari, che è una delle macchie delle nostre
amministrazioni, non per effetto di questi infelici straordinari, degni del
maggior riguardo, ma per la riproduzione e la vegetazione morbosa, di cui hanno
dato prova; imperocché, diciamolo francamente, tutti coloro che passavano per
il Governo lasciavano il loro deposito limaccioso di questi impiegati inutili:
ma oggi è chiuso il mal potere di farlo! (Benissimo!
Bravo!)
SONNINO. Io no!
LUZZATTI, relatore.
Fatta eccezione, onorevole Sonnino, per Lei e per me, s’intende! (Viva l’ilarità). E quando si fece la
legge per la trasformazione dei prestiti della Sicilia e della Sardegna,
operazioni di parecchi milioni, quella di Sicilia è già a 70 milioni e quella
di Sardegna deve essere sui 30, ne ho affidata l’esecuzione a un nostro egregio
collega che ricordo a ragion d’onore, l’amico mio Picardi, il quale ha lavorato
da sé e non ha richiesto alcun aumento di impiegati per condurre a compimento,
insieme alla Commissione che con tanta cura presiede, un’opera di così gran
mole! Quindi mi sento la coscienza tranquilla intorno a ciò. Ho anche io i miei
peccati da scontare; ma quello di aver contribuito a ingrossar la burocrazia a
danno dei veri e buoni funzionari, no! Ora il ministro degli affari esteri, in
quel suo discorso così caldo di eloquenza giovanile, aurea, del bel tempo antico
(Verissimo! – Bravo!) a cui non siamo
più abituati oggidì (permetta che glielo dica) imperocché bisogna cercare in
quei vecchi, i giovani, spesse volte (Bravo!
Bene!), il ministro degli affari esteri ha dichiarato in questa Camera che
procederà con molta prudenza, che intende, togliendo degli impiegati dai
Ministeri che hanno il servizio della emigrazione, che quei funzionari passino
col loro ufficio e col loro stipendio alla nuova destinazione e che non ci sarà
notevole aggravio per il bilancio dello Stato. E poiché in questa materia gli
intendimenti, per quanto lodevoli di un ministro, possono essere disdetti dai
successori, così a nome della Commissione dichiaro che siamo disposti anche a
scrivere nella legge tutti quei temperamenti e provvedimenti, i quali valgano a
impedire che questo ufficio di commissariato, che significa soltanto una tutela
efficace dello Stato sostituita alla tutela odierna inefficace, rappresenti un
dilagamento di impiegati, un nuovo seminario di spese inutili.
Tutela inefficace, ho detto, per la quale si spende
egualmente, ma si spende male.
Infatti, oggi, il Commissariato lo si trova e al
Ministero dell’interno e a quello di agricoltura e a quello della marina, come
a quello degli affari esteri; ognuno se ne occupa coi sui criterî e coi suoi
impiegati. Ma essendo che questi impiegati non si vedono, non pare che si
tratti di una grossa burocrazia. Ora che vi si mette sotto gli occhi un ufficio
solo, che ha riunito un certo numero di funzioni di Stato già esistenti, poiché
voi lo vedete più chiaramente, gridate che si ingrossa la burocrazia. Ma non è
questo il modo di esaminare seriamente le cose! Io affermo che ridotto il
servizio a unità, noi lo avremo più sincero, più semplice, più efficace e meno
costoso ed eviteremo così litigi continui che oggi avvengono fra i Ministeri
per l’indole loro. Il Ministero degli esteri, dove il servizio è posto, ha la
cura morale dell’emigrante; non vuole che gli emigranti escano a ogni costo dal
Regno e certamente non sarebbe stato esso a mandare ora, per esempio, nel
Messico un migliaio di questi emigranti in quell’esodo luttuoso, di cui i
giornali si sono occupati negli ultimi tempi. Ma il ministro dell’interno,
quale si sia, respira quando vede questa gente andar fuori in qualunque modo ci
vada; respirano i prefetti, i quali non si curano tanto del modo con cui gli
emigranti sono trattati.
Una voce. Male!
LUZZATTI, relatore.
Male sicuro! Ed è tipica la risposta di quel prefetto che disse a uno dei suoi
funzionari: ma per carità moderiamo il nostro zelo a favore degli emigranti!
Gli agenti rimangono in paese, i vettori rimangono pur
essi, l’emigrante solo va via e non disturba più.
PANTANO. È un elettore che parte.
LUZZATTI, relatore.
È un elettore forse del suo partito, onorevole Pantano! (Si ride).
Ora, che cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo riunito il
servizio, l’abbiamo semplificato, gli daremo efficacia, lo subordineremo alle
leggi della meccanica razionale, otterremo il massimo effetto utile col minore
sforzo possibile, con la minor spesa. Quindi non si tratta, o signori, di un
ufficio nuovo, si tratta di un ufficio tecnicamente razionale messo al posto di
uffici irrazionalmente distribuiti e che ora ci costano di più.
Ho tanta fede che un servizio di questa specie debba
procedere con idee tecniche più che con un numero grosso di impiegati, debba
procedere alla maniera con cui amministrano i boards inglesi di simigliante specie, che non potrei accettare
l’emendamento dell’onorevole Abignente, il quale nel suo importante discorso,
mosso dall’orrore della burocrazia, vorrebbe che negli impiegati,
nell’amministrazione non si spendesse più di un terzo di quanto si accumuli per
anno nel fondo di emigrazione.
Oh no! Noi intendiamo di spendere meno, e non avremmo
scusa né assoluzione se in spese nuove da questo fondo di emigrazione si
distraesse troppa parte di ciò che vogliamo assegnare a fondar le istituzioni a
tutela degli emigranti.
Quindi, onorevole Abignente, non accoglierò
quell’emendamento non perché non consenta nel suo concetto, ma perché sono più
severo di Lei. (Bravo!).
Altre obbiezioni furono messe innanzi di carattere
tecnico e specifico che mi pare potranno trovare la loro conveniente sede negli
articoli che esamineremo d’amore e d’accordo. Però lasciate che un istante io
ragioni di un altro ato di questa legge, su cui due autorevoli tecnici della
nostra Camera, l’onorevole Celli e l’onorevole Casciani, ci hanno intrattenuto
con molta autorità, alludo al lato igienico.
Hanno ragione gli onorevoli Celli e Casciani; il
carattere igienico in questa legge ne è uno dei punti e degli adornamenti
essenziali. È inutile che qui lo illustri io, perché con competenza maggiore di
me ne hanno ragionato i due eminenti igienisti, di cui ricordai il nome per
cagione d’onore.
L’onorevole Celli ha toccato un punto che mi sento
incompetente a discutere con lui, ma lo pregherei di seguirmi attentamente per
correggermi se erro, e per vedere anche un altro aspetto del problema che non è
chiarito abbastanza, secondo il mio pensiero. La Commissione aveva nel suo
primo progetto stabilito di accrescere la velocità effettiva e reale delle navi
che trasportano gli emigranti, di accrescere la stazzatura e di accrescere i
metri cubi d’aria che questi infelici possano respirare, stivati nei cupi
dormitori.
L’onorevole Celli, contro la Commissione di oggi
invocando l’autorità della Commissione di ieri, domanda degli emendamenti che
specialmente per la cubatura di aria riconducano le cose a quella che a lui
pare la lezione migliore. E certamente nessuno di questa Commissione può dissentire
da lui sulla convenienza di crescere lo spazio nei dormitori e di portarli da
2,50, come è oggi, nei luoghi più alti e da 2,75 nei luoghi più bassi a una
media di tre metri cubi.
E con l’onorevole Pantano noi abbiamo vivamente sostenuto
questa tesi, quando, discutendone con quel sottilissimo uomo e vero tipo di
nocchiere ligure, che è l’onorevole Bettòlo, (Ilarità) poi con l’onorevole Morin, essi in questo punto (e se dico
male mi correggano) sono stati dissenzienti dalla Commissione, per le seguenti
ragioni, le quali non piaceranno all’onorevole Celli, ma adombrano un altro
aspetto della questione oggi accennata.
Nel regolamento del 1897, che poi è di ieri, perché è
stato posto ad effetto ora appena nel 1898...
CELLI. No, c’è quello del 1898.
LUZZATTI, relatore.
È precisamente quello; siamo d’accordo. In questo regolamento si è fatto un
passo avanti, perché, prima di questo regolamento, i metri cubi di aria
assegnata agli emigranti erano rispettivamente 2,25 e 2,50. E sapete che cosa
vuol dire questo passo avanti? vuol dire spesa per gli armatori. Perché
evidentemente l’accrescere la cubatura d’aria, significa diminuire il numero
dei viaggiatori per dare dello spazio maggiore.
CELLI. Ma facciamo la legge per gli emigranti, non per
gli armatori.
LUZZATTI, relatore.
Senta, onorevole Celli, io ho di Lei una tale stima, che non deve fare a me di
siffatte obbiezioni, come io non debbo farle a Lei. (Ilarità). Siamo tutti e due uomini di studio e perciò usi a evitare
queste obbiezioni più vane che forti.
Dunque, tutte le navi che trasportano emigranti hanno già
dovuto subire un aggravio forse senza aumentare perciò i noli.
Il passato ministro Bettòlo e l’attuale ministro Morin,
credono che, nelle condizioni attuali della marina mercantile, non per favorire
la nave A, o la Compagnia B, ma per conservare la concorrenza che non ci
precipiti nella balia di una Compagnia sola, spavento giusto di questa Camera,
sia opportuno procedere in questi progressi tecnici, a favore degli emigranti, con
prudente misura, perché, più prudente è la misura, più continuo è il progresso.
La Commissione vostra ha tenuto conto di queste ragioni
esposte dagli onorevoli Bettòlo e Morin, tanto per la cubatura quanto per la
velocità.
Perché, veda onorevole Celli, se fossimo venuti in questa
Camera proponendo le 11 o 12 miglia all’ora di velocità effettiva, insieme ai 3
metri di cubatura, avrebbe udito un assordante coro che noi accuserebbe di aver
finta la pietà per servire il monopolio di poche Compagnie, le quali sole, oggi
per oggi, avrebbero potuto realizzare queste condizioni. Ma la Commissione è
interamente d’accordo con l’onorevole Celli, che bisogna andare avanti risolutamente. Già la legge dice che in accordo coi
progressi della marina mercantile, due anni dopo dell’applicazione della legge,
si chiederanno degli aumenti, tanto nella velocità, come nella cubatura, e, per
parte mia, assicuro l’onorevole Celli (e lo chiameremo in seno alla
Commissione, perché io intendo che tutti coloro che hanno presentato
emendamenti così importanti, non solo li discutano in questa Camera, ma anche
nei tranquilli colloqui con la Commissione e coi ministri) che io personalmente
sarò il suo alleato. Ma, gli dico la verità, questa legge contiene tanti altri
beneficî, che non vorrei comprometterne le sorti per la mancanza dei 3 metri
cubi…
CELLI. Per la velocità va bene, per la cubatura no.
LUZZATTI, relatore.
Ella sentirà, onorevole Celli, le ragioni tecniche dell’onorevole Morin,
ragioni tecniche le quali attaccano direttamente il concetto della importanza
della cubatura in relazione con l’igiene. Queste cose le ho studiate
superficialmente e sarà bene che l’onorevole Celli si accapigli con l’onorevole
Morin e s’intendano fra loro due. (Ilarità).
Del resto senta, onorevole Celli: io ho conosciuto uno
dei più grandi armatori d’Inghilterra con cui ho discusso a fondo su questa
questione. Ella sa che la legge inglese prescrive una cubatura maggiore della
nostra, ma per dove viaggiano, in quali climi brumosi, quali abitudini hanno
quegli emigranti? E devono stare sottocoperta molto più dei nostri, i quali
viaggiano per mari dove si può stare più a lungo a bevere
«l’aer dolce che
del sol si allegra.»
E poi tutto in quei paesi è condotto con larghezza,
spazio, velocità e anche il vitto. Mi diceva quell’armatore: la cucina a bordo
dei nostri piroscafi, che trasportano gli emigranti, è così buona, che io vi
dirò cosa, la quale vi parrà forse eccessiva: molti emigrano per mangiar bene
durante la traversata. (Vivissima ilarità).
Del resto, cari signori, una applicazione della cucina ai
grandi avvenimenti umani richiederebbe molti e molti libri, e sarebbero opera
di alta filosofia! Ne domandino ai nostri amici socialisti, i quali dichiarano
che l’elemento economico è il solo elemento che formi il progresso della
società: e hanno ragione in ciò che è uno dei principali elementi, ma insieme
ad altri di carattere ideale che lo integrano, e di cui parleremo quando si
discuterà intorno a queste loro dottrine. E basta per ora
dell’igiene, tema ponderoso.
E qui, o signori, vengono innanzi le proposte
dell’onorevole Sonnino sotto forma di articoli aggiuntivi e quelli
dell’onorevole Morpurgo che noi accettiamo.
E taccio di altre, non perché non dia loro l’importanza
dovuta, ma per studio di brevità: così accetto la proposta dell’onorevole
Valli, che quando si presenta la relazione sull’emigrazione sia posta
all’ordine del giorno per obbligare la Camera a esaminarla e discuterla;
accetto la proposta dell’onorevole Giusso di una Commissione parlamentare di
vigilanza, la quale sorvegli tutto l’andamento di questo servizio
dell’emigrazione, siccome si vigilano il debito pubblico e altre cose; ma di
tutto ciò discuteremo a tempo opportuno. Qui dobbiamo procedere, come diceva lo
scrittore antico, per celsitudinem, non
humilium minutias indagare causarum. Ora la Commissione unanime dichiara
che il pensiero informatore degli articoli aggiuntivi dell’onorevole Sonnino lo
accoglie interamente e con entusiasmo. Lo ringrazio di aver pensato a toglierli
da quelle leggi che si dicono urgenti ma dormono polverose da tanto tempo negli archivi della
Camera. E poiché essi sono materia viva della nostra emigrazione e la
completano, diventano di questa legge l’adornamento, il finimento di cui
abbisognava.
È così buono il pensiero che ha mosso l’onorevole Sonnino,
che la Commissione ha l’obbligo di dire perché non l’ha fatto essa. Nella
nostra relazione noi ricordiamo tanto la legge di reclutamento come la legge
della cosiddetta doppia nazionalità. Ma con la fama di usurpatori che
l’onorevole Pantano e io ci siamo acquistata per questa legge, non abbiamo
voluto procedere oltre invadendo il campo di Commissioni parlamentari alle
quali questa materia è assegnata. L’onorevole Sonnino, che più è prepotente di
noi (Si ride), ha fatto l’usurpazione classica e gliene diamo lode.
È evidente l’importanza del provvedimento che l’onorevole
Sonnino propone alla Camera, e che il Ministero sostanzialmente accoglie.
È evidente, onorevoli colleghi, che tutte le restrizioni
contro gli emigranti, le quali dipendono dalla legge del reclutamento, si
ritorcono a danno dello Stato e fanno dell’emigrante un malvivente, un
disertore, un avversario della sua patria, mentre si domanda che questa, come
madre amorosa, gli apra le braccia ogni volta che sia possibile, perdonante e
altera dei suoi antichi figli.
Così dicasi per gli impieghi all’estero.
Tutte queste sono idee moderne, che sostituiscono i
principî del Codice civile, il quale per tali rispetti, quando fu fatto, non
aveva dinanzi il fenomeno sociale dell’emigrazione, con l’importanza che ha
presa oggidì. Quindi siamo perfettamente d’accordo intorno a ciò.
La Commissione fa sue le proposte dell’onorevole Sonnino
e pregherà lo stesso onorevole Sonnino di venire a esaminarle con lei, assieme
ai ministri, compreso il ministro guardasigilli, perché si tratta di toccare il
Codice civile che è tale arca santa, che nessuno di noi ha la mano così
delicata per farlo, e occorre la voce lene e la mano agevole dell’onorevole
Gianturco. (Viva ilarità).
Né qui, onorevoli colleghi, io avrei finito. Del resto
voi lo sapete per prova, quale uomo pericoloso sono io, quando comincio a
discutere su questi temi.
Voci. No! no!
LUZZATTI, relatore.
Ma un pensiero mi preme di mettere innanzi, pigliando l’impegno l’onorevole
Pantano e io di colmare le lacune che queste nostre spiegazioni potessero avere
ed è, che Governo e Commissione sono disposti ad accogliere tutti gli
emendamenti, che, non solo secondo la Commissione e il Governo, ma anche nel
concetto degli uomini competenti di questa Camera, contribuiscano a migliorare
la legge. È evidente che uno spirito di onesta transazione deve presiedere in
questi studi così nuovi e nei quali, a suggello di ogni cosa, deve stare la
modestia. Però francamente per togliere ogni illusione, noi non potremo credere
onesta transazione, né condiscendenza, l’accoglimento di principî i quali
fossero la distruzione di questa legge, per la contradizione che non lo
consente, per rispetto di chi proponga alcuni emendamenti radicalmente opposti
e per rispetto della Commissione e del Governo che li devono esaminare. Lo
spirito di transazione, di equa e mutua indulgenza, finisce là dove comincia il
sovvertimento dei principî, ai quali la legge s’informa.
Con questi limiti, che noi custodiremo con grande equità,
preghiamo tutti coloro che hanno emendamenti da fare, di volerli presentare
subito al banco della Presidenza, perché la Commissione possa esaminarli. In
leggi di questa specie, così delicate e difficili, dobbiamo cercare, non con i
regolamenti che poco contano, ma con i costumi che molto valgono, di migliorare
le nostre abitudini parlamentari e di non far nascere gli emendamenti all’improvviso,
gettati in questa Camera, talora con parola calda e brillante, e accolti, per
condiscendenza o per stanchezza, e che poi inseriti nella legge stridono con
essa e ne sono in aperto contrasto dando alla nostra legislazione la fama di
una delle meno coerenti e di un semenzaio di liti, che formano la fortuna di
altri agenti di emigrazione. (Viva
ilarità).
Questa preghiera, non limita, ne confisca la libertà di
nessuno dei nostri colleghi, ma fa apprezzare la equità di una domanda, la
quale darà modo anche a noi di renderci conto degli effetti di provvedimenti,
che vanno coordinati insieme in una legge, che, appunto perché troppo
macchinosa, richiede da parte nostra un esame profondo prima di dare una
risposta. È, o signori, con questa preghiera e con questa speranza che vi
raccomando questo disegno, che non è né un trovatello, né un aborto, né un
mostricino, ma un figliuolo legittimo dello studio di galantuomini e della fede
di uomini di cuore, i quali hanno creduto di poter congiungere in questi
provvedimenti le ragioni del diritto e le ragioni della benevolenza umana,
traendone uno di quei tipi di legislazione italiana, di cui parlava con calda
ed eloquente parola oggi l’onorevole Fani, volta a ristoro dei nostri
emigranti. Tutta la
Camera, socialisti, individualisti, sociologi e la
maggior parte dei deputati, la quale giudica bene perché non aspira a essere
nessuna di queste cose (Si ride), si riuniranno
tutti in un pensiero comune, nel pensiero di far sentire alla nostra gente, che
emigra, che è giunto il giorno, nel quale questo Parlamento non può e non vuole
esser estraneo né ai suoi dolori, né ai suoi bisogni. Noi abbiamo udito le
doglianze di tutti, la voce degli agenti di emigrazione, la voce degli agenti
marittimi, la voce dei noleggiatori, la voce degli armatori; tutti gli
interessi si sono messi innanzi competizioni di varie specie; tutti li abbiamo
esaminati questi interessi e abbiamo avuto, o signori, l’ingenuità di credere
spesso agli uni quando accusavano gli altri, poiché in queste rivelazioni reciproche
degli interessati sta il vero progresso della economia sociale!
Quando in Inghilterra gli industriali accusarono i
proprietari delle terre di affamare il popolo con dazî altissimi sui cereali,
allora i cereali valevano 38 o 39 lire, per vendicarsi degli industriali e per
giusta rappresaglia, i proprietari delle terre rivelarono gli abusi delle
fabbriche. I lavoratori erano gli assenti, ma approfittando di queste accuse
mutue ebbero l’abolizione dei dazi e la legge sulle fabbriche. Noi
approfitteremo delle accuse degli agenti contro gli armatori, e degli armatori
contro gli agenti per dare riposo e conforto, per quanto è possibile, a questa
travagliata schiatta dei nostri emigranti. Mirabile gente, in verità! Io li
vedo nell’istante, in cui ora parliamo, imbarcarsi a Genova e recarsi nel Plata
per giungere a tempo a mietere le messi dell’America del Sud, dopo aver mietuto
quei biblici sudori della loro fronte quelle del paese natio, e, infaticabili
come le forze primordiali della natura, si affretteranno poi a ritornare in
patria per riprendervi le opere campestri nella mite primavera nostra!
L’italiana anima mia esulta che noi alberghiamo una
schiatta di così forti lavoratori, la quale feconda col lavoro i due Mondi e ne
domina le stagioni diverse! (Applausi).
È in nome di questi miracoli di operosità sana, grande e semplice come la rude
virtù, che io vi chiedo, o signori, di approvare i provvedimenti a favore di
tanta eletta parte dei nostri figli. (Benissimo!
Bravissimo! – Vivissimi applausi –
Moltissimi deputati vanno a congratularsi con l’oratore).
Luigi Luzzatti, Discorsi parlamentari, Volume II (1900 - 1920). Roma, Camera dei deputati. Archivio Storico, 2013.
No hay comentarios:
Publicar un comentario
Nota: solo los miembros de este blog pueden publicar comentarios.