«Calò sopra la nave
un denso velo
di nebbie; e come un
cieco, nella notte,
inoltrava la prora
sulle onde.
Di tratto in tratto,
un fischio di sirena
fendeva il buio; e
il corno d’allarme
squillava nella vana
immensità.
*
Un’ombra, ad ogni
luce della tolda
si disegnava sul
nebbioso muro,
ove, d’un colpo, s’erano
spolte
ombre umane raccolte
sulla poppa,
ombre vaganti a una
remota terra,
uomini in fuga al
bando della fame.
Sull’abisso sospesi,
e dal mistero
dei cieli avvolti,
disperata prole,
olocausto del mondo,
dentro un’arca
navella, in traccia
di novello sole.
E v’era un
cantastorie, che cercava
tra gli allarmi e l’agguato
della notte,
le sue smorte parole
d’intonare.
Cantava, perso nel
fiato del mare,
trascinando le
vecchie romanelle
sovra i sungulti
della sua chitarra:
- E quando gli
orecchini t’ebbi visti,
e il cero era vicino
alla tua bara,
tre volte ti chiamai
e non venisti,
tre volte ti
chiamai, anima cara.
E quando gli
orecchini t’ebbi visti,
e la tua vesta
candida di sposa,
io tenni sulla bara
gli occhi fissi;
e ogni chiodo mi
ferìa la gola. –
Ascoltavano intorno
gli emigranti,
macchie confuse
nella nebbia folta,
avvolti nei
mantelli, a quando a quando
accendendo le pipe,
con un ratto
graffio di luce,
nelle palme accolta.
Sparivano, in quel
lampo, muscolose
teste, barbe
ricciute e magre mani:
due donne già
dormivano, col capo
sui sacchi, strette
dentro scialli neri;
un giovine seduto al
parapetto
si dondolava al
ritmo del cantore,
e una bambina dava
un lento lagno
quando la madre più
non la cullava.
- Giovanna, disse il
giovine all’orecchio
della donna,
sfiorando con la palma
la creatura che
teneva in grembo;
dammi la bimba, e
scendi a riposare. –
Lo scialle, aperto,
gli battè sul volto:
si levava una
braezza; e le dormenti
scesero a una a una
il boccaporto.
La nebbia si
scioglieva: quattro lievi
punti di luce
svelarono il cielo;
si animarono i vetri
alle lanterne:
e il morso dell’elica
sospinse
la carena, più
ratta, sulle onde.
Come tracce
smarrite, nell’eterno
spazio, si
risvegliavano le stelle;
e si svegliava con
una canzone
giuliva, nei suoi
stracci, il cantastorie.
– Senti, Anna, senti
la bella canzone,
dicea il fabbro
stringendo la bambina,
Anna Maria, non
senti la canzone? –
– Son rivenute le
castagne nere;
son rivenute le
veglie sui monti... –
Anna cedeva al sonno
lenta lenta,
di riccioli
coprendogli la fronte.
E il fabbro pose la
bimba a dormire
fra due sacchi, dov’erano
le cose
di Giovanna, il
corredo custodito
dalle sue mani, con
cure gelose,
nel partire dal suo
nido romito.»
Tumiati, Domenico. Emigranti.
Lirica musicata per melologo da Vittore Veneziani. 2a edizione. Bologna: Ditta Nicola Zanichelli, 1901.
En la fotografía: Domenico Tumiati.
En la fotografía: Domenico Tumiati.
No hay comentarios:
Publicar un comentario
Nota: solo los miembros de este blog pueden publicar comentarios.