«La tempestività della iniciativa che
si è assunta la Camera di Commercio di Bologna, con il conforto di adesione
delle altre Camere, della autorità di governo, di studiosi e degli ambienti
della produzione e del lavoro, merita di essere sottolineata per l’elogio che
si ha il dovere di rivolgere al Presidente ed alle commissione che hanno
collaborato al successo dell’iniziativa medesima.
È questo il momento storico in cui il
problema va reimpostato con ampiezza di panorama, ora che si viene a dare un
certo assetto alla economica internazionale si rafforzano ed orientano i
rapporti internazionali dell’Italia. In certo senso il congresso di Bologna è
il naturale complemento di quello promosso dalla Confederazione dell’industria
sui problemi della disoccupazione operaia. Non è venuta meno l’indicazione
della soluzione della emigrazione fra quelle che possono conocrrere alla più
ampia impostazione del problema della utilizzazione delle forze crescenti di
lavoro dell’Italia.
Per rendersi conto delle direttive che
in Italia sono state seguite in questo campo, quasi con ricorrere dei motivi
che nei secoli giustificarono la scienza nuova Vichiana, notiamo l’alternarsi
di visioni favorevoli e contrarie alla emigrazione. Sono i lati subiettivi
della politica e della psicologia dei popoli. Se fosse possibile senza timore
di eccedere in generalizzazioni, si dovrebbe dire che il prevalere di sentimenti
operanti in senso nazionalistico e della affermazione in sede di espansione
coloniale, abbia creato orientamenti di politica anti-emigratoria.
Si pensi all’atteggiamento di Crispi,
dalla ideologia dello “stato forte” ed espansivo attraverso imprese coloniali,
ed alla contemporanea legislazione che subordinava l’emigrazione degli uomini
dai 18 ai 32 anni, ad apposita autorizzazione (mi riferisco alla legge del 30
dicembre 1888). Si deve arrivare al primo testo organizo del 30 gennaio 1901
per avere la dichiarazione della libertà della emigrazione, con clausole per i
minori, e con la protezione degli emigranti, fra l’altro organizzando il
movimento migratorio con la creazione del Consiglio per l’emigrazione e del
Commissariato per l’emigrazione.
Venendo ad epoca a noi più vicina, pur
dopo aver detto nel 1923 in una lettera a De Michelis, benemerito dei problemi
del lavoro, che “è inutile discutere se l’emigrazione sia un bene o un male
essendo l’effetto di una incomprensibile necessità demografica”, Mussolini nel
1927 con il decreto legge del 28 aprile sopprimeva il Commissariato per l’emigrazione
sostituendolo con una Direzione genereale degli Italiani all’estero sotto il
ministero degli esteri, e poco dopo (18 giugno 1927) sopprimeva il “fondo” per
l’emigrazione che diveniva un capitolo del bilancio degli esteri e il Consiglio
per l’emigrazione (D.L. 23 ottobre 1927 n. 2146).
L’emigrazione, secondo il testo della
circolare del 28 aprile da fatto tecnico-amministrativo, diveniva problema di
ordine politico. Incalzava Grandi, sottosegretario, fra l’altro: “noi dobbiamo
avere il coraggio d’affermare che l’emigrazione è un male quando, come oggi,
essa ha luogo verso paesi stranieri. L’emigrazione è un bisogno, ma sotto la
sovranità nazionale. I popoli, oggidì, misurano le loro forze in base alla loro
popolazione e alla loro vitalità demografica”. In tale visione si inquadrano in
seguito i provvedimenti tendenti ad agevolare il rimpatrio degli Italiani dall’estero.
Soltanto la grande crisi economica
mondiale indusse le autorità italiane ad essere più liberali verso l’emigrazione.
Naturalmente questa urtava contro le difficoltà che, nel frattempo, all’estero
si opponevano alla immigrazione. Per gli Stati Uniti ricordiamo l’Atc del 16 maggio 1924 che, rendendo più rigorose
le restrizioni del 1921 portava al 2% del livello del 1910 il contingente
ammesso di provenienza italiana.
È così che verso codesto grande mercato
nel periodo 1925-32 la media scendeva a 27.662 immigrati.
Con questo dato, entriamo nell’aspetto
quantitativo del fenomeno, che si inquadra nella politica economica del paese
nella fase nuova.
Essa è ora di nuovo orientata nel senso
della ricerca delle vie per l’espansione del lavoro all’estero. Altro aspetto
dei “ricorsi” che si registrano in questo campo, come le citazioni dei due
periodi storici dimostrano. Ora il fatto migratorio torna ad essere di
carattere economico-amministrativo. Se aspetto politico esso assume, ciò ha luogo
nel quadro della progettata Unione Europea e più ancora nello spirito che anima
l’ERP ovvero la collaborazione internazionale che non è limitata al campo
finanziario o delle quantità economiche obiettive ma deve tener conto del
fattore subiettivo, costituito dal lavoro, che è il motore definitivo di quelle
che vengono apprezzate come combinazioni produttive, fonti di ricchezza e di
benessere nel mondo.»
Ernesto d’Albergo, Problemi dell’emigrazione italiana. Bologna: Dott. Cesare Zuffi –
Editore, 1949 (?).
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