«ALLE LORO ECCELLENZE
IL DOTTOR AMANCIO ALCORTA
Ministro degli Affari Esteri
E IL COLONELLO ENRIQUE MORENO
Ministro dell’Argentina a Roma
Illustri
Signori,
Uno di voi mi accompagnò con larghe commendatizie nel mio viaggio all’Argentina;
l’altro mi accolse, con una provvida e generosa liberalità, appena io posi il
piede a Buenos Aires. Per la vostra preziosa assistenza, io ho potuto compiere
felicemente il mio viaggio, e dirne ora qualche cosa, come ne sento, a’ miei
concittadini, con la fiducia che la voce sincera d’un viaggiatore italiano, che
non ha tanto voluto godersi il vostro paese, quanto sentirne la vita,
comprenderne il carattere ed i bisogni, indovinarne i desiderii, e ridire con
parola semplice e schietta, ma calda, ciò che egli ha veduto, sia pure con
molta fretta, ma con gli occhi bene aperti, e con la più onesta e legittima
delle curiosità che un Italiano debba avere nell’Argentina, possa giovare a
stringere le nostre due patrie. Ciò che vidi mi destò grande ammirazione e mi
fece concepire alte speranze per il vostro paese, di cui voi servite così
nobilmente gl’interessi, nelle sue relazioni internazionali. L’Italia e l’Argentina
possono rendersi scambievolmente grandi servigi; basta che non si sviino l’una
dall’altra, che non si perdano di vista, che non trascurino; i nostri interessi
sono comuni; la vostra grandezza sarà la nostra; una parte del vostro benessere
ridonderà pure a noi. Voi avete spazio che a noi manca; noi abbiamo braccia che
mancano a voi; voi potete mettere nelle mani de’ lavoratori italiani una leva
potente ai vostri interessi ed ai nostri. Bisogna dunque che la reciprocità de’
buoni rapporti sia continua. Io sono stato felice di trovar sempre i vostri
alti pensieri conformi all’ideale che io mi sono fatto degli uffici che può
prestare l’Italia in servizio della vostra patria, così fiduciosa, così
accogliente, così disposta ad aprirci il suo latgo seno fecondo.
Tra voi due poi è stato un uomo egregio, che, per trovarsi ora lontano da
Buenos Aires, chiamato a prestar l’opera sua intelligente e patriottica in altro
stato americano, io non posso e non voglio qui dimenticare. Il Conte Pietro
Antonelli nostro ministro nell’Argentina, a pena si persuase della bontà della
missione pacifica e civile che m’ero imposta col mio viaggio, non mi lasciò più
solo nel mio soggiorno in Buenos Aires, e secondò, con ogni suo potere, i miei
intendimenti che gli erano parsi atti ad agevolare fra i nostri due paese un’alleanza
più cosciente e più vivace. Lasciatemi dunque che, nell’offrirvi in debito
omaggio, questi riconoscenti miei ricordi argentini, io accompagnai col vostro
nome onorando, anche il suo che non disdice.
Quanto più faremo tutti per rendere meno straniere l’una all’altra l’Italia
e l’Argentina, di maniera che venendo voi, Argentini, in Italia possiate quasi illudervi
che essa sia una prosecuzione luminosa dell’Argentina, e venendo noi nell’Argentina
possiamo immaginarci che continuiamo a trovarci in un’Italia allargata e più
ricca, tanto più noi avremo ben servito il nostro proprio paese.
Ma è necessario che la stampa italiana e l’argentina diano lume insieme ai
rispettivi governi, affinchè si tolgano, nelle nostre rispettive legislazioni,
tutti quegli impedimenti che possano impedire i nostri viaggi, i nostri
rapporti, i nostri commerci. Il libro che vi offro non ha la pretesa di
risolvere alcuna questione; ma ho fiducia che gli Italiani i quali lo
leggeranno aquisteranno un’opinione più alta del valore dell’Argentina; e nutro
speranza che gli Argentini non isgradiranno le mie parole, le quali per esser quelle
di un invitto idealista, non possono giungere discare in un paese ove uomini
come il Sarmiento, hanno, seminando idee feconde, generato una nazione che
promette di salire a molta grandezza.
Dio accolga il mio vivo augurio, e conservi alla patria argentina tutti que’
figli che la servono nobilmente al pari di voi.
ANGELO DE GUBERNATIS»
Conte Angelo De
Gubernatis. L’Argentina. Ricordi e letture. Firenze: Bernardo
Seeber Libraio – Editore, 1989.
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