«Coloro che per la prima volta visitano l’Argentina, non
privi di un curioso e inteligente spirito di osservazione, sentono la propria
attenzione richiamata da questo fenomeno, tra i molti altri: la sproporzione
smisurata che vi ha – tra il numero degli italiani, come colonia, il risparmio
accumulato, le terre dissodate, le industrie e i commerci intrapresi da essi, -
e il grado gnerale di coltura della nostra collettività e l’influenza
esercitata sull’ambiente sociale in cui si è ridotta a vivere.
Questa sproporzione ha fatto dire ad un giornale
straniero: che nella Confederazione platense la mente era francese, il capitale
britannico, e il braccio – il braccio solamente – rimaneva italiano.
Molto di esagerato vi è in tale affermazione, specie nella
sua prima parte; perchè invero la mente argentina, che viene formandosi con
lento, sì, ma continuo e sicuro progresso, si è assimilate ormai le idee dei
più svariati paesi; e la società cui essa appartiene è, d’altronde, troppo
cosmopolita e ancor troppo giovane per avere in sè una tendenza fissa e
foggiarsi su un modello unico e costante.
Ad ogni modo, se come “elemento intellettuale” noi siamo
lontani dall’avere quella importanza che il numero parrebbe indicare e dovrebbe
indurre, non è detto perciò che l’affermazione del foglio citato dianzi sia,
per quanto ne riguarda, prettamente esatta.
Inoltre, può ben darci conforto il pensiero che la
sproporzione, cui accennavamo, va scemando di anno in anno, tanto da farci
sperare con fodnata ragione che essa debba finalmente scomparire.
A questo felice risultato contribuiscono, in un ambiente
che non ha nulla d’ostile per noi, il teatro ed il libro, - il libro
specialmente, quantunque il teatro sia stato il primo e più efficace mezzo di
propaganda, che la nostra coltura abbia avuto ai propri servigi.
Noi parliamo, qui, principalmente del teatro di musica.
La musica italiana, sì facile ad essere intesa e sentita, ricca tanto di vena melodica e tanto eloquente nell’espressione,
ha dato per la prima l’idea intuitiva d’una grande e gloriosa Italia
intellettuale; e ciò in tempi già lontani, allorquando la maggioranza quasi
assoluta della nostra colonia platense, composta di incolti lavoratori, di rudi
braccianti, non avrebbe potuto fare una simile rivelazione. Poi, l’affinità fra
i due idiomi – italiano e spagnuolo, - il contatto diuturno fra la gente delle
due nazionalità, ed un sentimento istintivo di conoscere e d’indagare, che nei
popoli giovani accompagna una predisposizione naturalmente benevola ad ammirare
le cose nuove ed il loro portato, hanno reso maggiore quell’interesse per le
manifestazioni della nostra intellettualità.
In pari tempo, miglioravano le condizioni generali di
coltura della colonia italiana.
Figli d’un paese di recente costituitosi in nazione una e
salda, sorse allora da parte nostra un desiderio intenso d’istruire; parlò in
noi, nobilissima, l’ambizione di diffondere ovunque la coltura nazionale, ben
sapendo che, al postutto, il farci conoscere meglio sarebbe valso a renderci vieppù
rispettati e stimati. Su cotesto cammino – possiamo ora asserirlo con franco
orgoglio e compiacimento – noi abbiamo fatto passi di gigante, non solo, ma,
quel che più importa, passi sempre più sicuri e progressivi.
Frattanto, vennero crescendo le giovani generazioni
argentine derivate da noi; e, nel campo morale, andammo superbi di una più alta
ed angusta efflorescenza, merè la fondazione di scuole italiane nella
Repubblica Argentina. Infatti, coteste scuole, che mirarono sempre a tenere
sveglio nei loro alunni un sentimento di memore affetto per la nazionalità d’origine
e più ancora a consolidare un vincolo nella razza, hanno avuto, aiutate dal
Governo, un risultato dei più soddisfacenti.
Com’era naturale, il libro italiano fu magna pars di tutto questo movimento, e
il nostro commercio librario ne risentì a sua volta benéfici effetti. A mano a
mano che la coltura della colonia veniva progredendo e affinandosi, e più
numerosi facevansi i figli d’italiani, frequentando le scuole secondarie e le
università, moltiplicandosi nell’esercizio delle professioni liberali, la sfera
d’azione della Libreria italiana aumentava di periferia, cossichè dalle poche e
modeste opere, dirò così, d’amena letteratura, ch’erano le sole vendute, una
volta, essa si estese ad abbracciare il campo delle lettere, della medicina,
dell’ingegneria, del diritto, delle molteplici industrie.
E qui stimo opportuno ed utile richiamare l’attenzione
dei nostri Editori su questo fatto, che i paesi del Rio della Plata sono forse
i soli, tra gli stranieri a noi, nei quali il libro italiano non si diriga
esclusivamente alla nostra emigrazione.
È una constatazione incoraggiante, questa, della quale
bisogna assolutamente tener conto, e che suona oltre la patria come una
magnifica promessa agli Editori e agli Autori.
I progressi fatti in questi ultimi anni dal nostro
commercio librario ci dicono che la conquista intellettuale della Repubblica
Argentina è un fatto possibile. E gli è appunto di tale conquista, nobile ed
utile pel vincitore come pel vinto, ch’io intendo di occuparmi ora, tentando d’indagare
quale fu la sorte toccata alle prime edizioni importate qui, come il commercio
librario fece i suoi primi passi; o cercando quali furono le resistenze da esso
incontrate, di che deficenze o pecche non andasse immune; e indicando, per
ultimo, quali sieno, a parer mio, le vie da battere e i criterî da seguire
affinchè la Libreria italiana nell’Argentina prenda il posto che le spetta, -
in un paese di quattro milioni di abitanti, di cui ben ottocentomila sono
nostri connazionali, e più di mezzo milione discendono dalla nostra razza.»
Carlo Cerboni, Il
libro italiano nella Repubblica Argentina. Osservazioni e note. Roma:
Enrico Voghera, 1898.
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