L'infinita prateria
«Io vedevo ondeggiare a me dinanzi, come le onde d’un mare tranquillo, gli immensi spazi delle “pianure orientali”, così chiamate perchè trovansi sulla costa orientale del
fiume Uruguay, il quale gettasi nel Rio della Plata, in faccia a Buenos Aires e
al di sopra della Colonia. Era, lo giuro, uno spettacolo nuovo per un uomo che
veniva dall’altra parte dell’Atlantico e soprattutto per un italiano, che
nacque in un suolo in cui è ben raro trovare una pertica di terra senza una
casa, od un lavoro non uscito dalle mani dell’uomo. Là, non scorgevasi che l’opera
di Dio: la terra come uscì dalle mani del Signore nel giorno della creazione,
così la si trova ai nostri giorni. È una vasta , immensa, infinita prateria e
il suo aspetto simile a quello d’un tappeto di verdura e di fiori variegati,
non cambiasi che sulle rive del fiume Arroya, ove si alzano e si agitano
sbattuti dal vento gentili alberetti dalle splendide foglie. I cavalli, i buoi,
le gazzelle, gli struzzi, in mancanza di uomini sono gli abitanti di quelle
immense solitudini attraversate solo dal “gaucho”, quel centauro del nuovo
mondo, come per far sì che gli animali selvaggi non dimentichino che Dio ha pur
dato loro un padrone. Ma con qual occhio vedono passare questo re del deserto?
Tutti protestano contro il suo dominio; lo stallone coi notriti, co’ muggiti il
toro, la gazzella e lo struzzo fuggendo a quella vista. Il mio pensiero tornava
alla terra in cui sono nato, miserabile terra sulla quale, passando l’austriaco
che ci calpesta, gli uomini, coteste creature fatte ad immagine di Dio,
salutano e si curvano, non osando esternare i moti di indipendenza che mostrano
gli animali selvaggi della “pampa” alla vista del “gaucho”.»
Giuseppe Garibaldi, Memorie autobiografiche, Cap. 7 “Nella Pampa”. Ed. Barbèra, 1888 [10 edizione].
Imagen: Primera página del Memoriale de Giuseppe Garibaldi.
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