jueves, 18 de abril de 2013

L'argentino, de Lucilla Gallavresi (2003)



«Il parapetto della nave era troppo alto per un bambino di dieci anni, Saverio doveva alzarsi in punta di piedi per vedere quel che accadeva al di fuori. E lui voleva vedere, non voleva perder un solo istante di quel momento. Un momento speciale, carico di mistero. Non solo per lui, che era un bambino, ma per tutti coloro che si trovavano sulla nave. Un momento di attesa, quasi solenne. La gente era emozionata, tratteneva il fiato, mentre lentamente la nave entrava nella rada di Buenos Aires.
“Presto partiremo per l’Argentina”, aveva annunciato mesi prima Saverio alla cuoca Felicita, che era la sua migliore amica e confidente. Lei lo aveva guardato con occhi tristi e dopo una pausa aveva risposto: “Anche mio fratello c’è andato anni fa. Non è più tornato. Ha scritto che si trova in una terra immensa. Comincia dove finisce il mare”.
Ecco, pensava Saverio, ora sta proprio per finire il mare, stiamo arrivando in questa terra smisurata. Era molto eccitato, anche se sapeva benissimo che il viaggio in sé non aveva niente di allegro. Loro, i Montefalco, erano una famiglia “andata al meno”, come si diceva a quel tempo. Avevano dovuto vendere la bella casa di Meldola, in Romagna, con tutto quello che conteneva, le terre e poi anche l’appartamento di Firenze, dove viveva soprattutto papà che era uno studioso, uno scienziato, e che poco si era curato dei beni di famiglia, inghiottiti dagli amministratori senza scrupoli e dagli usurai.
[...]
Intanto la nave si era fermata definitivamente, molto lontano dalla costa. Era il 1874 e il vero porto di Buenos Aires, che sarebbe stato costruito solo nel 1889, non esisteva ancora. Il padre aveva spiegato a Saverio che quello non era esattamente il “mare”, ma l’estuario di un immenso fiume che si chiamava Rio de la Plata. Plata in spagnolo vuol dire argento, e i primi conquistadores che si erano inoltrati, con il loro coraggio senza limiti, per quella sconosciuta via d’acqua credevano di arrivare alla terra dell’argento e così lo avevano chiamato. Uno dei tanti nomi sbagliati della Conquista, ma che non sarebbe mai stato cambiato.
Al posto di un vero porto si ergevano allora due moli di legno, due passerelle sarebbe meglio chiamarle, una, per le merci, era praticamente un prolungamento dell’attuale Avenida de Mayo, e l’altra, per i passeggeri, poco più al nord, un prolungamento dell’attuale Calle Cangallo. Tutte e due erano di poca utilità perché il fondale era molto basso e nella maggior parte dei casi le navi più grosse non riuscivano ad avvicinarsi. C’era perciò tutto un sistema di barconi e barchette di ogni tipo che traghettavano all’asciutto merci e persone. Saverio, alla vista di quelle imbarcazioni che si avvicinavano, aveva avuto uno scatto, come per partire, ma il padre lo aveva fermato e gli aveva detto severamente: “Noi scenderemo per ultimo, quando sarà il nostro momento”.
Infatti quello era il “momento” degli emigranti. La nave, che era partita da Genova, era stipata da famiglie di contadini dell’alta Italia, specialmente piemontesi e veneti, che fuggivano la miseria dei loro paesini per “cercare fortuna” in quell’Argentina che aveva aperto generosamente le porte per loro.»


Gallavresi, Lucilla, L’argentino. Milano: Mursia Editore, 2003.

Fotografía: Puerto de Buenos Aires (Siglo XIX).

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