«Il
parapetto della nave era troppo alto per un bambino di dieci anni, Saverio
doveva alzarsi in punta di piedi per vedere quel che accadeva al di fuori. E
lui voleva vedere, non voleva perder un solo istante di quel momento. Un
momento speciale, carico di mistero. Non solo per lui, che era un bambino, ma
per tutti coloro che si trovavano sulla nave. Un momento di attesa, quasi
solenne. La gente era emozionata, tratteneva il fiato, mentre lentamente la
nave entrava nella rada di Buenos Aires.
“Presto
partiremo per l’Argentina”, aveva annunciato mesi prima Saverio alla cuoca
Felicita, che era la sua migliore amica e confidente. Lei lo aveva guardato con
occhi tristi e dopo una pausa aveva risposto: “Anche mio fratello c’è andato
anni fa. Non è più tornato. Ha scritto che si trova in una terra immensa.
Comincia dove finisce il mare”.
Ecco,
pensava Saverio, ora sta proprio per finire il mare, stiamo arrivando in questa
terra smisurata. Era molto eccitato, anche se sapeva benissimo che il viaggio
in sé non aveva niente di allegro. Loro, i Montefalco, erano una famiglia “andata
al meno”, come si diceva a quel tempo. Avevano dovuto vendere la bella casa di
Meldola, in Romagna, con tutto quello che conteneva, le terre e poi anche l’appartamento
di Firenze, dove viveva soprattutto papà che era uno studioso, uno scienziato,
e che poco si era curato dei beni di famiglia, inghiottiti dagli amministratori
senza scrupoli e dagli usurai.
[...]
Intanto
la nave si era fermata definitivamente, molto lontano dalla costa. Era il 1874
e il vero porto di Buenos Aires, che sarebbe stato costruito solo nel 1889, non
esisteva ancora. Il padre aveva spiegato a Saverio che quello non era
esattamente il “mare”, ma l’estuario di un immenso fiume che si chiamava Rio de
la Plata. Plata in spagnolo vuol dire
argento, e i primi conquistadores che
si erano inoltrati, con il loro coraggio senza limiti, per quella sconosciuta
via d’acqua credevano di arrivare alla terra dell’argento e così lo avevano
chiamato. Uno dei tanti nomi sbagliati della Conquista, ma che non sarebbe mai stato cambiato.
Al posto
di un vero porto si ergevano allora due moli di legno, due passerelle sarebbe
meglio chiamarle, una, per le merci, era praticamente un prolungamento dell’attuale
Avenida de Mayo, e l’altra, per i passeggeri, poco più al nord, un
prolungamento dell’attuale Calle Cangallo. Tutte e due erano di poca utilità
perché il fondale era molto basso e nella maggior parte dei casi le navi più
grosse non riuscivano ad avvicinarsi. C’era perciò tutto un sistema di barconi
e barchette di ogni tipo che traghettavano all’asciutto merci e persone.
Saverio, alla vista di quelle imbarcazioni che si avvicinavano, aveva avuto uno
scatto, come per partire, ma il padre lo aveva fermato e gli aveva detto
severamente: “Noi scenderemo per ultimo, quando sarà il nostro momento”.
Infatti
quello era il “momento” degli emigranti. La nave, che era partita da Genova,
era stipata da famiglie di contadini dell’alta Italia, specialmente piemontesi
e veneti, che fuggivano la miseria dei loro paesini per “cercare fortuna” in
quell’Argentina che aveva aperto generosamente le porte per loro.»
Gallavresi,
Lucilla, L’argentino. Milano: Mursia
Editore, 2003.
Fotografía:
Puerto de Buenos Aires (Siglo XIX).
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