miércoles, 25 de enero de 2017

Il nostro lavoro nell'Argentina coi primi emigranti, de Giacomo Pavoni (1926)



«L’Italia ha dato ai paesi dell’America latina migliaia di lavoratori, ma braccia. Gente che ha popolato i deserti, ma uomini di fatica.
È la definizioe che si dà dei nostri emigranti. Accettiamola per due ragioni. Primo, perchè in realtà la nostra emigrazione aveva questo carattere che non ha ancora perduto. Secondo, perchè a testimoniare l’operosità, l’intelligenza, lo spirito d’iniziativa dei nostri lavoratori, restano le opere.
Anche nei paesi dove non sono che piccoli nuclei di avanguardia, qualcosa c’è che non si distrugge del loro lavoro.
Ha un segno di forza e di fatica.
C’è, nel segno – espressione della razza – l’impronta di una volontà salda, chiara, impavida. Chi ha vinto non avrà avuto che braccia, ma gli bastarono per salire dall’oscurità ai fastigi del nome e della ricchezza.
Restano i segni. Da per tutto.
Nell’Argentina, più che in qualunque altro paese. È qui che i nostri emigrati hanno costruito di più.
Noi li seguiremo nell’opera, senza illuderci di dare la rappresentazione viva di un quadro che ha proporzioni troppo vaste per la cornice di un articolo, nè può essere contenuto a frammenti nei due o tre articoli che scriveremo con più modeste pretese.
L’intnzione è quesat: dare un’idea per quanto lontana del lavoro ch’essi hanno compiuto laggiù, il quale si ricollega allo sviluppo di quell’immenso paese in piena efervescenza, e animare qualche figura.

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Le prime correnti emigratorie verso il Rio de la Plata si determinano – pare – intorno al 1853, ma c’è comunque chi le ha precedute.
È dal ’53 l’iniziativa presa a Buenos Aires da un gruppo d’italiani per la costruzione di un ospedale che sorgerà qualche anno più tardi.
Si può risalire ancora. Nel ’40, alla Boca, gl’Italiani sono già numerosi: marinari che esercitano il piccolo cabottaggio coi palebots, calafati, mastri d’ascia, costruttori che han creato sulle rive del Riachuelo i loro cantieri, innalzato le prime case di legno, aperto le prime botteghe.
Prevalgono i genovesi. La parlata comune è il dialetto ligure, vivo anche oggi.
Lo parlano gli stessi argentini, pur così gelosi della loro nazionalità. è nelle tradizioni familiari, come rimane nella famiglia il dialetto lombardo e piemontese nelle campagne della provincia di Santa Fè. Qui, trattandosi di popolazioni sparse, il fenomeno è meno intenso; ma c’è un momento, alla Boca, in cui il dialetto ligure diventa una necessità anche per i baschi e... se ce ne sono, per gli stessi inglesi.
Per molti anni la Boca è stata una città a sè, con una popolazione prevalentemente marinara. Romane ancora il centro marinaro della capitale argentina, fulcro del piccolo cabottaggio, attiva di traffici, ma con la costruzione del porto il movimento dei passeggeri e delle merci che aveva la sua base nel Riachuelo, è andato spostandosi nei docks.
La borgatta popolosa, in cui predomina l’elemento italiano, vive ancora del suo; ma se conserva la sua fisonomia di... porto di mare, va perdendo il carattere che le davano le sue case di legno facilmente trasportabili, in cui era qualcosa di provvisorio, il dialetto e... gli allagamenti.»


Giacomo Pavoni, «Il nostro lavoro nell’Argentina coi primi emigranti». Milano, 1926.

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