Il decano della stampa
italiana nell’Argentina* [1]
(Comm. Dott. B. Cittadini).
Così pure quella di Buenos Aires – anzi
della Repubblica Argentina – ha la sua, incarnata nella figura del dott. comm.
Basilio Cittadini.
L’antico verdeggiante (verde antico storico, come il libro di
Milelli) direttore della Patria degli
Italiani ha consacrato la sua esistenza al prestigio dell’Italia in questo
Paese – ne ha sostenuto valorosamente le glorie ed è stato il baluardo
difensore di tutti gli italiani.
È dovere nostro ricordarlo e il
virgulto dell’affetto deve verdeggiare in queste pagine di memorie.
Basilio Cittadini veniva in America 45
anni fa, giovine e baldo, inviato dal tribuno della pace universale, A. Teodoro
Moneta, come corrispondente del Secolo;
ed egli fiero dei suoi ideali patrii e democratici, fantasioso e studioso,
portò alla piccola collettività d’allora tutta la sua fibra di pubblicista e di
pensatore.
Erano altri tempi.
Oggi tutto fila bene e i moderni che
non sanno nulla del passato considerano quasi la nostra emigrazione – se non un
giardino di rose – per lo meno un orto di verdura.
Ma allora, col vello d’oro sull’orizzonte
c’erano gli sterpi della pianura concentrati negli sfruttatori, nei negrieri,
nella polizia, che anche oggi non manca.
Cittadini combattè da valoroso.
I vecchi che sfogliando la cronaca
vorranno essere giusti, dovranno ricordarsi della sua azione generosa per i
fatti di Martin Garcia, quando all’isola
si faceva coi nostri immigrati un fac
simile di quello che si commetteva nelle fazendas brasiliane. Dovranno ricordare le sue catilinarie contro i
despoti della capitale e contro tutti i prepotentelli dell’interno, in varie
epoche, quando per le provincie, a Cordoba o a Mendoza, alla Plata o a Santa
Fè, a Rosario o a Tucuman, i proprietari commettevano prepotenze e la polizia
sevizie.
Allora Cittadini era il combattente per
l’umanesimo e per la giustizia.
Più tardi lo vediamo di penna e di
spada a sostenere il primato della nostra arte. Rileggere in proposito le
polemiche fra lui ed un giornalista francese all’epoca della Duse e della Sarah
Bernhardt.
Più avanti lo sorprendiamo in una polemica
brillante ed umoristica quando il Censor
– che visse precisamente quando i poliziotti di Capdevilla fattore della primera del mundo ne facevano di tutti i
colori – accusava gli italiani di tubercolotici.
E anche lì, il Dottor Cittadini rivelò
spirito, fibra e grazia.
Nativo di Brescia egli aveva spesso
sulla penna il versetto della leonessa d’Italia
con cui Carducci aveva battezzato la sua città, ed entusiasta del grande
statista Giuseppe Zanardelli ne propagava gli ideali, riuscendo – il giorno in
cui fu abolita la pena di morte – a raccogliere dagli italiani dell’Argentina
cospicue adesioni per una corona d’oro ch’egli stesso portò al Zanardelli in
Roma.
All’Operaio
Italiano, alla Patria Italiana –
per dove passarono coscienze e caratteri come un Annibale Blosi, un Ettore
Mosca, un Attilio Valentini – Cittadini iniziò e lasciò l’impronta del suo
valore, continuandola poi con l’Italiano.
La Commenda datagli dal Re d’Italia è
meritata.
Del resto essa non è che l’eco di un
voto giunto alla Corona dagli italiani dell’Argentina i quali avevano già
proclamato il Cittadini capi di vari sodalizî e presidente della Dante Alighieri.
L’antico direttore della Patria degli Italiani, circondato da un
nucleo di valenti ed entusiasti pubblicisti, continua serenamente l’opera sua
con la costanza dei resistenti e dei pensatori, plaudito dal popolo che l’ammira,
al Popolo Romano, continuando pure
dalla Capitale d’Italia le sue mirifiche corrispondenze alla sua creatura Patria di Buenos Aires.
Il suo nome oramai è una gloria degli
italiani d’America ed è pronunziato con venerazione da tutti.
* Gaja, Giuseppe, Ricordi d’un Giornalista
errante. Torino: Editori Bosio & Accame, 3a edizione ampliata, S/d.
[1] A questo capitolo manca l’illustrazione,
Ma giuro e spergiuro che non è colpa mia
Se a quest’articolo manca la fotografía.
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