domingo, 13 de abril de 2014

Canti Orfici e altri versi e scritti sparsi, de Dino Campana



Pampa


Quiere Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa. 
Le tende si allungavano a pochi passi da dove noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furtivamente le strane costellazioni che doravano l’ignoto della prateria notturna.
Un mistero grandioso e veemente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il nostro sangue nelle vene: – che noi assaporavamo con voluttà misteriosa come nella coppa del silenzio purissimo e stellato.
Quiere Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la calda bevanda.
Gettato sull’erba vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco.
I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza, come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinita maestà della natura.
Lentamente gradatamente io assurgevo all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra  io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la felicità a traverso i secoli.
Le idee brillavano della più pura luce stellare.
Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni.
Una stella fluente in corsa magnifica segnava in linea gloriosa la fine di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo sembrava risollevarsi lentamente oscillando:
per un meraviglioso attimo immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi
i destini eterni . . . . . . . . .
Un disco livido spettrale spuntò all’orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi gelidi d’acciaio sopra la prateria.
Il teschio che si levava lentamente era l’insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalieri colle lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano alla riconquista del loro dominio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio.
La commozione del silenzio intenso era prodigiosa.
Che cosa fuggiva sulla mia testa?
Fuggivano le nuvole e le stelle, fuggivano: mentre che dalla Pampa nera scossa
che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a tratti alla malinconia più profonda dell’errante un richiamo:.....dalle criniere dell’erbe scosse come alla malinconia più profonda dell’eterno errante per la Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre.
Ero sul treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con la velocità di un cataclisma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel lugubre fracasso della corrente irresistibile.
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Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero!
Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane?
Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino.
Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi.
La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo.
Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti
per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.
La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona.
Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense.
E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente
e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra:
il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito.
Mi ero alzato.
Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.


Campana, Dino, Opere. Canti Orfici e altri versi e scritti sparsi. A cura di Sebastiano Vasalli e Carlo Fini. Milano: TEA, 1989.

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