domingo, 13 de octubre de 2013

Costruzione dell'immagine dell'immigrante italiano attraverso la letteratura

                                                                              

                                                                      Paola Pietrafesa

   
Buenos Aires abnegada,
ciudad abierta y bien amada
dio albergue de su fe
a cuantos a ella vinieron
y a poco andar se fundieron
en su crisol…
Alberto Vaccarezza, El conventillo de la paloma


Se si val sul dizionario a cercare il significato della parola immigrazione, tra le varie opzioni, la prima che compare davanti ai nostri occhi è la seguente: “In generale, l’insediamento di uomini in paesi diversi da quello in cui sono nati, per cause naturali o politiche; può essere di massa o d’infiltrazione, secondo che le unità che si spostano comprendano varie migliaia di individui oppure siano di scarsa entità”. Nel caso dell’Argentina il processo si trattò di un movimento di massa che si compì in diverse fasi: la prima a partire dal 1855, la seconda verso il 1880 fino ai primi anni del 900 e infine la terza e quarta fase intorno agli scoppi delle due Guerre Mondiali rispettivamente. Due caratteristiche del processo sono state l’intensità e la concentrazione del flusso di persone appena arrivate rispetto alla popolazione locale. Il primo censo nazionale evidenzia che la città di Buenos Aires contava con una popolazione di quasi 178.000 persone, di cui 88.000 erano stranieri.
Note sono la vastità e ricchezza del materiale riguardante l’argomento, con dettagli di numeri e percentuali, ma a mio avviso la possibilità di leggere i romanzi previsti nel programma della materia, mi ha mi consentio di scoprire e di conoscere la dimensione umana del fenomeno.
I romazi proposti e sui quali si basa il presente lavoro sono: Luz de las crueles provincias di Héctor tizón, El mar que nos trajo di Griselda Gambaro, Stefano di María Teresa Andruetto. È a partire dalla loro lettura che risulta possibile ricostruire l’immagine dell’immigrante nelle sue tante sfaccettature: uomo e donna che partono, passeggero/a, persona appena arrivata, abitante (non per questo necessariamente cittadino/a), lavoratore/lavoratrice, figlio/a che lascia la patria, madre e padre nel nuovo paese.
Il primo elemento ad accomunare gli immigranti nella nuova impresa è stata, senza dubbi, la nave. Di solito si partiva dal porto di Genova e da lì, inseguito a tantissime pratiche, finalmente i passeggeri riuscivano a salire su “Se metieron en una fila que daba la vuelta a Génova y allí estuvieron todo el día. Avanzaban lentamente porque en la mesa de Migraciones debían sellar pasaportes, mostrar las libretas de trabajo y entregar los billetes de barco”1. A volte la questione non risultava affatto semplice “El barco está completo, informó el de la oficina cuando les tocó el turno, pero ellos insistieron hasta convencerlo. El hombre selló los pasaportes, puso cinco veces Destino: Buenos Aires, y le dijo a otro: -Sumás estos cinco y se cierra la lista”2. Così in trepidante attesa di raggiungere il nuovo territorio, dove intuivano che la vita sarebbe stata sicuramente migliore, salivano con i loro bagagli e oggetti più cari, pieni di sogni, aspettative e il cuore a pezzi per essere stati costretti a lasciare l’unica sicurezza che, fino a quel momento, avevano posseduto: il luogo natio. Una volta sulla nave tutti dovevano sistemarsi secondo le regole: “Duermen en literas y algunos en el suelo. En el compartimiento han quedado sus amigos”3. Di solito il viaggio risultava un’esperienza difficile e gli immigranti sentivano un profondo disagio “no hablaron con nadie como no fuera para asentir o negar, con monosílabos, a pesar de que el barco estaba repleto de paisanos, temperamentales y ruidosos, gente de toda calaña, gordos, niños, familias enteras e incluso un ciego. Pero ambos se sentían aun más solos entre aquella multitud de esperanzados fugitivos”4 “ambos abandonaban la promiscuidad de aquellas literas húmedas y malolientes para ir a sentarse en la cubierta de proa y allí juntos, contemplar el despuntar del día en el horizonte inmenso”5.
 Finito il viaggio, gli immigranti arrivavano in Argentina e cercavano di sistemarsi dove potevano. Alcuni venivano con una lettera di raccomandazione, altri invece con la spettativa di trovare un parente o un amico che si fosse stabilito precedentemente per inserirsi nel mondo del lavoro.
Nel caso di Giovanni e Rossana, protagonisti di Luz de las crueles provincias “con sus documentos en el bolsillo, salieron a la calle y buscaron un lugar donde alojarse”6, Agostino e Luisa, personaggi “Del mar que nos trajo “alquilaron una pieza en una casa de inquilinato”7 e Stefano, figura principale del romanzo omonimo, dopo essere stato salvato dal naufragio della nave El Syrio in cui viaggiava, trova Pino, un suo compatriota, e fanno la fila per allogiarsi in un albergo “el hotel está a pocos pasos de la dársena; tiene largos comedores y un sinfín de habitaciones. Les ha tocado un dormitorio oscuro y húmedo. En la puerta, un cartel dice: Se trata de un sacrificio que dura poco”8.
Da quanto si può percepire la terra promessa piena di ricchezza dove “las vacas andan sueltas por el campo y se pierde la vista en los sembrados”9 e della quale “Se decía en una época, que Argentina era la nación más rica de Sudamérica y que en este país, desmemoriado y tan extenso como un océano, donde millones de vacas, caballos, corderos y gallinas vagabundeaban por sus pampas y entre el norte y el sur mediaban meses de camino, todo era posible, y que aún los viejos que recién llegaban y se establecían podían engendrar hijos doctores y que las hijas no había necesidad de dotar con dinero ni ajuares, aun las flacas y feas; y muchos también podían haber oído decir, entonces, que, en Buenos Aires todos los hombres hablaban todas las lenguas y cualquiera que tuviese una podrían entenderse con cualquier otro en la suya. Una ciudad en la cual cabían varias veces Nápoles y Palermo y toda Calabria y Sicilia y Galicia y el país de los polacos e incluso mucha otra gente que ni siquiera era católica. Un país de leche y de miel y de afortunados buscadores de oro.”10 non si avverò e la vita dimostrò di essere ancora più dura di quanto avessero immaginato. Alla fatica di trovare un lavoro “cumplió una y otra vez el mismo recorrido en busca de trabajo”11 “pero todo fue igual y al cabo de esas recorridas regresaba cansado, hambriento y triste” 12 si aggiunse il fatto di non conoscere la lingua, di non essere capiti, nemmeno dai prorpri compaesani e incominciò a svilupparsi all’interno degli immigranti uno strano senso di “extrañamiento” e di spaesamento “amedrentado por esa ciudad enorme y ajena”13. La maggior parte degli appena arrivati si trovò a conformare, senza volere e senza neanche essere consapevole, un insieme di “sconfitti” che a mala pena e con grandissimi sforzi, aspirava a trovare un posto dove poter sopravvivere con la maggior dignità possibile “aquí, pensó, de nada valían sus conocimintos adquiridos en la academia a costa de la terquedad y el ríspido orgullo de su padre. Seremos pobre pero ilustrados14. Molti trovarono lavoro presso altri italiani venuti prima, come Agostino, che fu assunto da un piemontese “el piamontés desparramaba simpatía pero pagaba poco”15 nella sua carboneria. Altri, invece, come Giovanni, di Luz de las crueles provincias, scoraggiato e abbattuto dall’impossibilità di trovarne uno, rifugiattosi nell’alcool, incominciò a frequentare i bordelli dei bassofondi fino a quando intravide una remota possibilità di riuscirci che implicava trasfersi insieme a Rossana all’interno del paese. Di conseguenza entrambi partirono in treno verso il nord a Jujuy. Stefano, nella speranza di trovare lavoro e alloggio presso un parente di Pino, andò a Montenievas (provincia di La Pampa) grazie a che “en la Oficina de Trabajo les han arreglado el viaje hasta Montenievas. El viaje en tren es una de las regalías que el país da a los que se ajustan a la Ley de residencia”16.
È da sottolineare che questi uomini di cui abbiamo parlato finora, protagonisti centrali di romanzi sopra elencati, tranne Stefano, furono accompagnati e seguiti, nonostante tutto, dalle loro mogli con una rassegnazione e un coraggio inestimabili. Tanto Luisa (El mar que nos trajo) quanto Rossana (Luz de las crueles provincias) rimasero vicine loro senza mai chiedere niente, in silenzio, accettando ciò che il destino determinava, con assoluta integrità. Su Luisa, scrive Gambaro: “No se atrevía a desearse distinta porque Agostino la amaba. Al mes del nacimiento de la niña, retomó su trabajo”17, “Luisa recogía la ropa de las casas acomodadas y la lavaba en los piletones de cemento al aire libre, en el fondo del patio”18, “Ella aprovechaba la ausencia de Agostino, el sueño de Natalia, cada instante del día. Estiraba la ropa empapada en almidones con una plancha de hierro que calentaba en un brasero de carbón, y la devolvía puntualmente recorriendo largas distancias para no gastar en el tranvía. El ruido y el movimiento de las calles la asustaban, pero se guardó de confesar sus temores a Agostino. No era dada a exigir y a quejarse porque de donde venía, una Florencia aldeana y pobre, la resignación se aprendía en la cuna, junto al primer balbuceo”18. Tizón a sua volta descrive Rossana: “terminaría por habituarse a que Giovanni saliera muy temprano y sólo regresara al atardecer”19 “su vida breve estuvo hecha de esperas”20, “Ella sólo sentía tristeza, no sobresaltos ni angustias. Como su madre y su abuela, y la abuela de su abuela y las demás mujeres iguales a ella, no había sido educada para imaginar y a través de la imaginación temer, sino para esperar y ella esperaba sin impaciencia”21. Non a caso il personaggio del Propietario dice in Luz de las crueles provincias “No hay nada más seguro para prever el destino de un hombre que una mujer fuerte a su lado”22. Non ci sono in queste figure fesure. Donne tutte a un pezzo, anche se in apparenza fragili che continuarono sempre a svolgere le  attività quotidiane al di là dei sobbalzi che la realtà implacabile imponeva alle loro vite. Natalia, figlia di Luisa, ereditò anche il carattere deciso della madre.
Fino ad ora abbiamo visto quale fossero le impressioni e le percezioni degli immigranti nei confronti del nuovo territorio, ma è anche opportuno rintracciare dai testi la visione che ebbero gli abitanti locali nei loro confronti. Nel romanzo di Griselda Gambaro appare molto chiaro come spesso gli italiani venissero considerati anarchisti e perciò un pericolo per la società. Questo lo si può vedere nella scena nella quale Luisa, spinta dalla paura e dalla disperazione, chiede a un poliza se per caso ha visto Agostino. Lui le fa molte domande e per ultimo “él inquirió si su Agostino no sería por casualidad un anarquista. Esos animales solían pelearse entre ellos, aparecería en un zanjón”23. La stessa idea viene ripresa nel romanzo più avanti, quando due fratelli del inquilinato, Nino e Massimo, vengono portati via dalla polizia sotto l’accusa di essere anarchisti. Angelina e Nuncia, due vicine, dedicate ai pettegolezzi dicono “ Esos dos, dijeron, refiriéndose a Massimo y Nino, leían demasiado, protestaban mucho”23 e aggiunge la scritttrice “Esos dos serían llevados de vuelta a Italia, metidos en el primer barco que partiera del puerto. Si habían llegado paupérrimos, regresarían desnudos. En Italia tampoco los recibirían con los brazos abiertos”24. Quindi sorse in molti argentini un pregiudizio verso gli immigranti che li condusse a ritenerli persone incapaci di apprezzare la “gentilezza” con cui il paese li aveva accolto “Regresaban tarde aunque debían levantarse antes del amanecer. Y en ese caso, levantarse antes del amanecer no significaba mérito sino corroboración de sospechas. Si los hombres emigraban, no era para provocar escándalo. Un país los acogía hospitalariamente y algunos en lugar de agradecer, tiraban bombas”25. Anche qui scrive Gambaro: “Bien merecido el regreso a esa Italia que se abandonaba por pobre, insistieron con las voces ya un poco secas y una crueldad de la que no estaban conscientes: ese regreso confirmaba su propio lugar bajo el sol, lo volvía más seguro a esta Argentina que ellas consideraban benévola. Les había otorgado trabajo, un techo, comida”26. Inevitabilmente mi vengono in mente tante domande sul modo in cui effetti sono stati accolti: se veramente ci fu nei loro confronti un atteggiamento di comprensione che tenesse conto delle loro sofferenze; o se li si guardò come una minaccia alla la nostra “argentinidad”.
Un’altra visione che si ripete è quella secondo la quale l’immigrante veniva visto, nella maggior parti dei casi, come un “extraño”,  ad esempio del libro di Tizón quando, la moglie di Juan, parla  di Rossana e dice “No entiendo lo que habla, ella sigue siendo de afuera...”27 “ella es extranjera, yo no la entiendo”28. Per quanto riguarda al lavoro, ed è questo il caso di Stefano, il suo sforzo non veniva mai riconosciuto e questo lui lo subiva, anche se a priori sapeva  che non c’era molto da aspettare “El pan del patrón, Stefano, tiene siete cáscaras y la más rica es la quemada”29 perché glielo aveva detto la madre prima di partire e una volta qui, Moretti  ribadisce il concetto. Per quanto riguarda la vita in generale, si può capire come fosse dalle parole pronunciate dal propietario riferendosi a Giovanni, “Tu padre apenas si vivió. Era un buen hombre, creo, y ni siquiera alcanzó a saberlo. Pero era extranjero y el gran defecto de un extranjero es morir joven; los que no mueren jóvenes dejan de ser extranjeros…”30
C’è da dire che così come gli immigranti avevano un’idea o un’illusione di come sarebbe stato il nuovo paese e gli argentini si erano creati una immagine di loro, anche gli italiani rimasti in Italia, avevano un’immagine dei parenti che partivano. Mentre Stefano credeva che in Argentina si potessero far soldi, la madre gli rispondeva “¡Cosas que inventan! Pero nadie regresa para contar...”31 Quindi al paese sconosciuto si associarono concetti come ricchezza e abbondanza.  All’epoca si pensava all’Argentina come il paese dove tutti potevano diventare ricchi e ciò li portava a dimenticare le loro famiglie di origine immerse nella povertà. Stefano, non appena conosce la notizia della morte della madre, ripete le parole sentite una volta dalla sua bocca “Maledetto Cristoforo Colombo que descubrió la América”32.
Davanti a un panorama così complesso e con scarse possibilità di successo, gli immigranti incominciavano a vedere, forse inconsciamente, nei propri figli (quelli nati in Argentina) la possibilità di in qualche modo riuscirci. Allora sia la figura di Isabella come quella di Juan rappresentano l’obiettivo raggiunto. Nel mar que nos trajo è Domenico che tramite Isabella si illude di risolvere la propria ignoranza “Feliz, le susurraba en el oído sus viejas canciones, porque aunque no podía expresarlo, creía que cuando ella leyera y escribiera fluidamente, su propia ignorancia se vería resarcida”33, e Rossana da parte sua, davanti al figlio diventato giudice, riconosce con amarezza che a causa della sua condizione di donna nulla è cambiato “todos me tratan como a una cosa que los hombres pretenden heredar apenas ven que ya no tiene dueño”34.
Nell’aspetto linguistico i personaggi di questi romanzi, che appena arrivati sentono l’impossibilità di capire la nuova lingua, come nel caso di Stefano “el hombre habla una lengua que él no entiende”35, Luisa “había descendido de un barco en un país extraño, no conocía a nadie, no conocía la lengua que se hablaba en ese país”36 e Rossana “pensando que no se entendería hablando, le señaló con el dedo”37, alla fine riescono a comunicare e a stabilire dei rapporti con gli altri. Ricordiamo che inquilinato dove vivevano Luisa e le figlie era un luogo in cui si concentravano persone provenienti da diverse parti (Spagna, Abbruzzo, Sicilia ecc.), una specie di colorito ventaglio della realtà. Né Stefano, che percorre l’interno del paese viaggiando con il circo, presenta difficoltà a comunicare né Giovanni e Rossana che si adattano pure bene al ambiente jujeño. In questo aspetto gli autori non hanno sentito il bisogno di farli parlare in cololiche o con espressioni in italiano, tranne nei momenti in cui i personaggi trattano di esprimere qualche sentimento molto profondo per loro come l’amore per la madre morta, nel caso di Stefano, o per Rossana quando parla al figlio prima che lui si sposi “Vas a casarte –dijo ella-. Pero sólo una cosa te pido, una piccola cosa...38 . In quel caso inevitabilimente  i personaggi fanno ricorso alla loro lingua madre.  Nel Mar que nos trajo una delle figlie di Luisa e Domenico, viene chiamata Isabela anche se i genitori le dicono sempre Isabella. Quando compaiono riferimenti alle canzoni, l’italiano si fa presente. Queste in quanto manifestazioni della propria cultura, fungono da ponti me tramite i quali gli immigranti recuperano istantaneamente la loro terra ricollegandosi ad essa in modo ineluttabile, per esempio, quando canta Aldo “Scrivimi, non lasciarme più in pena”39 e dopo, al momento di dire addio anche Stefano canta “Scrivimi, sarà forse l’addio”.40
I personaggi dei romanzi citati sono arrivati in Argentina durante le prime ondate immigratorie. Erano per lo più molto giovani o perfino adolescenti. Dai testi letti si possono desumere quali siano state le dure condizioni in cui si è svolto il processo di adattamento e quanto sia stato difficile per loro stabilirsi e trovare “un posto al sole” nella nuova terra. Il  mondo interiore dei personaggi viene così reso e rispecchiato dagli autori in modo che il lettore possa coinvolgersi pienamente anche fino alle lacrime. Luz de las crueles provincia è poesia fatta prosa che narra con squisita bellezza la tenacità e il coraggio di Rossana, El mar que nos trajo recupera tramite la memoria la storia di Agostino e narra il processo di formazione di una famiglia unita e allo stesso tempo divisa dal mare. Dalle vicende dei personaggi è possibile intuire la vera dimensione dell’oceano e della distanza che “consiste en no saber nada del otro.”41 Infine il testo Stefano, con un linguaggio scarno e arido, privo di aggettivi e sfumature, ci rende spettarori del dialogo mentale che il personaggio mantiene ora con la madre, ora con Ema, attraverso il quale possiamo entrare nel suo mondo di ragazzino costretto dalla vita ad essere adulto prima dei vent’anni.


Note
1 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 12.
2 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 14.
3 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 15.
4 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 19.
5 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 22.
6 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 20.
7 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 17.
8  María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 33.
9 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 19.
10 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 25.
11 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
12 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
13 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
14 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
15 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 19.
16 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 36.
17 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 19.
18 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 20.
19 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 29.
20 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 29.
21 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 58.
22 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 107.
23 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 107.
24 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 99.
25 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 99.
26 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 100.
27 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 194.
28 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 194.
29 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 44.
30 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 143.
31 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 87.
32 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 87.
33 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 60.
34 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 216.
35 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 181.
36 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 24.
37 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 31.
38 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos Aires, Alfaguara 2002 p. 181.
39 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 54.
40 María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012 p. 68.
41 Griselda Gambaro, El mar que nos trajo, Norma 2010 p. 134.


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