«PREFAZIONE
Dell’Argentina e dell’emigrazione
italiana nell’Argentina quanti non hanno parlato e scritto? Abbia il cortese
lettore la bontà di gettare l’occhio su alcune delle numerose note
bibliografiche che fanno seguito al mio testo, e potrà constatare come l’argomeno
anzidetti sia stato trattato da numerosi scrittori ben superiori di me per
profondità di erudizione e per forza d’ingegno.
Fu dunque audacia la mia di scegliere
per le mie investigazioni di studioso un campo così esplorato dai geografi e
dagli economisti?
Ognuno avrebbe il diritto di crederlo
qualora io non sentissi il bisogno di dichiarare anzitutto, che un sincero
sentimento d’amor patrio mi spinse ad opera così ardua e difficile, perché fine
supremo del mio lavoro fu per me, quello di scuotere dall’accidia atavica i
miei concittadini, col rammentare a quanti sentono pietà di patria e fierezza
di uomini liberi e civili, che in lontane terre, perduti non si sa quando, non
si sa come, trascinano una vita derelitta centinaia di migliaia di fratelli, scacciati
dalla miseria dal suolo natío, spinti lontano da fallaci lusinghe di guadagni
e, ciò che più addolora, raggiunti continuamente da migliaia di insensati che
senza idee, senza propositi, senza meta, muovono verso lidi ad essi del tutto
sconosciuti, attratti unicamente dalla seduzione dell’ignoto, abbarbagliati
dalla speranza radiosa della ricchezza.
Io non presumo di rivelare niente di
nuovo, chè, ancora tre anni or sono, un egregio italiano, Luigi Barzini, a cui
io molto debbo del mio lavoro modesto, inviato dalla Direzione del giornale “Il Corriere della Sera” nell’Argentina,
per investigare le vere condizioni della colonia italiana, in una serie di
bellissime corrispondenze, dalle quali derivano molte mie reminiscenze e
citazione, primo fra tutti coloro che, incaricati del medesimo mandato, si
erano lasciati circuire e corrompere dai figli del paese, scrivendo meraviglie
di quella Repubblica, osò dire il vero, rivelando le condizioni deplorevoli in
cui erano abbandonati i nostri contadini, esposti alle frodi ed alle violenze
dei proprietari ed all’arbitrio di una Giustizia venale, rivelando la
corruzione dell’Amministrazione di quel Paese, che adesso, – questo fra
parentesi – sembrerebbe avviato, una buona volta, in una savia politica di
ravvedimento.
Oltrecchè saper di compiere opera
patriottica, tentando di destare negli Italiani della Penisola un sentimento di
nobile solidarietà in favore dei fratelli del Plata e di promuovere fra la
opinione pubblica italiana e quella argentina quella cordiale intesa, che solo
può stabilirsi fra due Nazioni quando si sono reciprocamente conosciute e nei
loro pregi e nei loro difetti, io sapevo anche che il mio modesto libro poteva
rispondere ad un altro scopo: quello di raccogliere quante notizie sui più
disparati argomenti erano state scritte intorno all’Argentina ed alla
emigrazione italiana e, con un lavoro paziente di analisi e di sintesi
subordinato alle norme di un rigoroso metodo scientifico, sì nella ricerca,
come nell’esame e nel controllo delle fonti, di presentare un tutto
organicamente costituito e plasmato sopra un ordine di considerazioni
soggettive, le quali non escludono tuttavia un esame obiettivo dei fatti, ma ne
costituiscono invece una interpretazione individuale e originale.
Del resto i tempo corrono e, in breve
volgere d’anni avvenimenti impreveduti o no incalzano senza tregua e danno
talvolta una modificazione o meglio un orientamento nuovo al vivere sociale,
quando le condizioni stesse della Società non sieno quelle che li determinano.
In ogni modo eventi grandi o piccoli si
succedono ogni giorno e la società ad ogni istante trova fattori che la
modificano.
Libri come il mio, sono di quelli che
appena esposti al pubblico hanno un lieve pregio – sarà magari l’unico – che è
quello di trattare di cose recenti: sono, come si usa dire oggidì, di
“attualità”.
Avranno magari la vita di un mese, ma,
al momento in cui escono, godono di una certa attrattiva, inquantochè,
trattando le ultime vicende sociali di una data nazione o di più nazioni,
presentano quella o quelle nelle condizioni in cui si trovavano ieri od oggi
stesso.
Se dunque audacia fu la mia di trattare
argomenti già da altri, ben più esperti di me, per l’innanzi studiati, tale
audacia troverà, spero, presso il cortese lettore, una giustificazione che ne
attenui la gravità, quando avrà compresso che io, altrochè tentare opera
patriottica, ho voluto trar profitto della natura tutta propria dell’argomento
la quale, metre lo renderà domani suscettibile di essere studiato da altri
meglio che non sia stato da me, a me permise, dopo di aver ricapitolato l’opera
di coloro che lo studiarono per lo innanzi, di prendere le mosse verso lo
svolgimento di una sua parte nuova, sopra indagini ed osservazioni mie
speciali.
Senonchè, per ottenere il mio scopo, ho
dovuto sobbarcarmi ad un paziente lavoro di ricerca, di esame e di controllo
delle fonti, nè le notizie scritte, quali si rilevano dai vari testi, potevano
bastare alle mie investigazioni, come quelle che risultavano spesso
contradditorie e talora fallacci o inverosimili; ma, per ottenere la piena
sicurezza, sono stato costretto a ricorrere alle fonti orali, consultando
persone che conoscono perfettamente l’Argentina per avervi a lungo dimorato o
per avervi fatto fortuna, e così fu mia cura di ricorrere per speciali
informazioni ad industriali italiani, propietarî di stabilimenti nell’Argentina,
fra i quali debbo ricordare con animo grato, Antenore Beltrame, vicentino, che
oggi è a capo di una vasta azienda in Cañada de Gomez, a professionisti, a
impiegati, ad artigiani ed anche ad umili contadini che, meglio di tutti gli
altri, hanno potuto conoscere il paese, per aver sperimentato direttamente,
rimettendo del proprio, quel lontano regime politico-amministrativo.
Contuttociò io mi trovavo spesso in
difficili condizioni perchè, mentre, seguendo rigorosamente la logica dei
fatti, mi credevo condotto a stabilire un giudizio sicuro, a mio avviso, perchè
basato sopra l’armonico accordo dei dati, un dubbio impreveduto, dovuto ad una
nuova indagine, rovesciava il mio edificio e sconvolgeva i miei piani. Ho
dovuto perciò procedere con grande cautela nel pericoloso lavoro dell’esame
degli autori, reso edotto dall’esperienza delle difficoltà a cui conduce la
leggerezza nella interpretazione delle fonti. Difficoltà maggiori le mie, inquantochè
il mio argomento fu trattato, a differenza di molti altri, da parti
interessate, le quali non si proponevano come mèta la verità, ma ritornavano
sui soliti pregiudizî inveterati, quando la passione politica non avesse
falsato arbitrariamente i fatti, per condurre artificiosamente a conclusioni
prestabilite.
Ho voluto attingere alle fonti
ufficiali dei Governi Sud-Americani, ma la poca serietà di quei Governi, non
poteva rendermi sicuro dei dati da essi fornitimi. Sono ricorso, allora alle
fonti orali, ho interrogato persone che conoscono bene l’Argentina, e forse è a
loro che io devo i giudizî più equilibrati e più sicuri.
Prima però di por fine a questa
prefazioni, desidero di porgere i sensi della mia più profonda riconoscenza a
quelle illustri persone e a qulli spettabili Enti morali d’Italia e d’Oltreoceano,
che con sentimenti elevati di patriottismo o benevoli di simpatia per la mia
opera modesta, vollero degnarsi di sovvenirmi di preziosi suggerimenti e di sussidî
bibliografici. Ed ora, fra gli argentini, vada il mio riconoscente saluto a
Giovanni Alsina, direttore della Divisione d’Immigrazione, vada a Stanislao
Zeballos, a Martin y Herrera professori illustri dell’Università di Buenos
Aires, ed al gentile figlio di quest’ultimo, vada, fra gli italiani, a Domenico
Tomba che continua a Mendoza, le belle tradizioni del rey del vino, a Giuseppe Pennesi dell’Univrsità di Padova, mio
illustre maestro, a Luigi Bodio, ad Ausonio Franzoni, autore di pregevoli lavori
a cui mi sono spesso informato, al console Romej di Bologna, ed, in special
modo, alla patriottica Camera italiana di Commercio ed Arti di Buenos Aires,
che mi onorò di un pregevole dono, inviandomi quel bellissimo volume al quale
si sono ispirati varî scrittori italiani di cose economiche, del titolo: “Gli
Italiani nell’Argentina”.
Mentre esprimo pubblicamente la mia
riconoscenza a tutte queste egregie e cortesi persone che desidero segnalare
alla pubblica lode, do fine a queste povere parole di proemio ed invito il
gentile lettore a seguirmi..... nelle
mie peregrinazioni nell’Argentina.
L’Autore
Chiavenna, 1.° Marzo 1905.»
Dott. Giovanni Graziani. La emigrazione italiana nella Repubblica
Argentina. Opera corredata da recentissimi dati statistici seguita da numerosi
allegati e da ricca notizia bibliografica. Torino – Roma – Milano – Firenze
– Napoli, Ditta G. B. Paravia e comp. (Figli di I. Vigliardi-Paravia), 1905.
Leggevo ieri in Archivio documenti relativi al periodo 1946 - 1950 "le autorità vaticane sono state sollecitate da diversi enti e personalità, ed anche da vescovi e da parroci, ad esaminare anche esse le possibilità che si presentano per l'emigrazione ..." ecc ecc ecc Per non dire del dialogo che San Martino Valperga dice di aver avuto con Irigoyen nel 1922. In soldoni l'argentino gli disse che se gli italiani in Argentina fossero tutti uniti, lui durante la sua presidenza avrebbe dovuto andare dal ministro italiano (capo legazione in quegli anni) per ricevere ordini. Què osadia la afirmacion!
ResponderEliminar