«L’Italia ha dato ai paesi dell’America latina migliaia
di lavoratori, ma braccia. Gente che ha popolato i deserti, ma uomini di
fatica.
È la definizioe che si dà dei nostri emigranti.
Accettiamola per due ragioni. Primo, perchè in realtà la nostra emigrazione
aveva questo carattere che non ha ancora perduto. Secondo, perchè a
testimoniare l’operosità, l’intelligenza, lo spirito d’iniziativa dei nostri
lavoratori, restano le opere.
Anche nei paesi dove non sono che piccoli nuclei di
avanguardia, qualcosa c’è che non si distrugge del loro lavoro.
Ha un segno di forza e di fatica.
C’è, nel segno – espressione della razza – l’impronta di
una volontà salda, chiara, impavida. Chi ha vinto non avrà avuto che braccia,
ma gli bastarono per salire dall’oscurità ai fastigi del nome e della
ricchezza.
Restano i segni. Da per tutto.
Nell’Argentina, più che in qualunque altro paese. È qui
che i nostri emigrati hanno costruito di più.
Noi li seguiremo nell’opera, senza illuderci di dare la
rappresentazione viva di un quadro che ha proporzioni troppo vaste per la
cornice di un articolo, nè può essere contenuto a frammenti nei due o tre
articoli che scriveremo con più modeste pretese.
L’intnzione è quesat: dare un’idea per quanto lontana del
lavoro ch’essi hanno compiuto laggiù, il quale si ricollega allo sviluppo di
quell’immenso paese in piena efervescenza, e animare qualche figura.
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Le prime correnti emigratorie verso il Rio de la Plata si
determinano – pare – intorno al 1853, ma c’è comunque chi le ha precedute.
È dal ’53 l’iniziativa presa a Buenos Aires da un gruppo
d’italiani per la costruzione di un ospedale che sorgerà qualche anno più
tardi.
Si può risalire ancora. Nel ’40, alla Boca, gl’Italiani
sono già numerosi: marinari che esercitano il piccolo cabottaggio coi palebots, calafati, mastri d’ascia,
costruttori che han creato sulle rive del Riachuelo
i loro cantieri, innalzato le prime case di legno, aperto le prime botteghe.
Prevalgono i genovesi. La parlata comune è il dialetto
ligure, vivo anche oggi.
Lo parlano gli stessi argentini, pur così gelosi della
loro nazionalità. è nelle tradizioni familiari, come rimane nella famiglia il
dialetto lombardo e piemontese nelle campagne della provincia di Santa Fè. Qui,
trattandosi di popolazioni sparse, il fenomeno è meno intenso; ma c’è un
momento, alla Boca, in cui il
dialetto ligure diventa una necessità anche per i baschi e... se ce ne sono,
per gli stessi inglesi.
Per molti anni la Boca
è stata una città a sè, con una popolazione prevalentemente marinara. Romane
ancora il centro marinaro della capitale argentina, fulcro del piccolo
cabottaggio, attiva di traffici, ma con la costruzione del porto il movimento
dei passeggeri e delle merci che aveva la sua base nel Riachuelo, è andato spostandosi nei docks.
La borgatta popolosa, in cui predomina l’elemento
italiano, vive ancora del suo; ma se conserva la sua fisonomia di... porto di
mare, va perdendo il carattere che le davano le sue case di legno facilmente
trasportabili, in cui era qualcosa di provvisorio, il dialetto e... gli
allagamenti.»
Giacomo Pavoni, «Il nostro lavoro nell’Argentina coi
primi emigranti». Milano, 1926.
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