«Nel
1865 Buenos Aires contava all’incirca 150.000 abitanti, meno di un decimo della
popolazione attuale. Anche rispetto alla superficie la città era di proporzioni
modeste. Poche erano le case che avessero due piani, e cioè uno in più di
quello terreno: le vere strade normali al fiume non raggiungevano il numero di
venti e ancora meno eran quelle longitudinali.
Calle
Callao, l’odierna mediana della metropoli, pareva in quel tempo tracciata quasi…
nella Pampa. I limiti estremi della città erano il Riachuelo, le strade Boedo,
Castro, Medrano, Rivera e l’arroyo Maldonado.
Il quartiere, oggi tanto popoloso della Boca, era allora costituito da un grupo
di poche capanne di legno costruite sopra palafitte, perchè in quella plaga
erano frequentissime le inondazioni. Flores, Floresta, San Martin, entrati poi
a far parte del nucleo metropolitano, erano piccoli comuni limitrofi ove
andavano in villeggiatura le famiglie benestanti.
Benchè
i cittadini si gloriassero del nome di porteñi,
un vero e proprio porto non esisteva. Al posto di quel Puerto Madero, che è
legittimo orgoglio degli Argentini moderni ed è il primo palese segno della grandeza
e della floridezza della Repubblica, non vi era allora nulla, assolutamente
nulla. Le navi dovevano ancorarsi al largo nel Rio della Plata: persone e merci
venivano trasbordate su vaporetti o barche che nemmeno potevan raggiungere la
riva. Era necesario un secondo trasbordo su carri trainati da cavalli e
talvolta da buoi, i quali si spingevano nel fiume quanto più lontano potevano
dalla línea delle lavandaie che costantemente segnava il limite estremo dell’acqua.
L’uso dei carri per lo sbarco durò per molti anni: anche dopo la costruzione di
moli in legno, a cui potevano, nelle ore di alta marea, attraccare i vaporetti
e i velieri di minore tonnellaggio. Oggi non è più che un ricordo dei vecchi: e
i giovani, di certo, male si raffiigurano il pittoresco quadro delle donne
intente a insaponare e risciacquar panni sulle sponde del fiume, proprio là
dove oggi i flutti del Rio si infrangono contro i mastodontici blocchi di
cemento dei bacini; mal si raffigurano l’umile donnesca fatica esercitata là dove
ora ferve la più febbrile e rumorosa vita della città, dove s’ergono ciclopici
silos, dove a fianco dei piroscafi si muovono a migliaia vagoni ferrorviari,
carri ed autocarri, dove gru potenti e colossali volgono in ogni direzione le
loro prensili braccia.
Buenos
Aires era dunque, più di cinquanta anni or sono, una città piccola e in
complesso poco attraente. Nelle sue arterie scorreva però tale linfa che anche
un inesperto viaggiatore ne poteva preveder subito, al primo arrivarvi, il prodigioso
avvenire. Dietro essa era tutto un territorio quasi incolto e di grande
fertilità, che aspettava soltanto di essere dissodato. La fama di tanto tesoro
era sparsa per il mondo e gli uomini intraprendenti vi arrivavano da fronte ai
pericoli e ai disagi del lungo viaggio transoceanico, quando, per le voci e più
per l’esempio di quanto li avevano preceduti, sapevan che vi eran laggiù premio
rapido e sicuro per tutti gli uomini di buona volontà.
L’aflusso
immigratorio, di qualsiasi provenienza, non era però così vario e proporzionato
per categorie come avrebbero desiderato i dirigenti del paese. In esso, i
contadini formavano la grande massa: dopo di quelli venivano gli operai
manuali, e poi i commercianti. Arrivavano alla Repubblica anche uomini di
lettere e di scienze: eran però sempre in numero esiguo, e molto spesso i
migliori professionisti non vi si sapevano acclimatare oppure se ne ripartivano
presto, dopo aver accumulato qualche modesto gruzzolo.
Complesse
sono le ragioni di questo fenomeno, che allora era assai acuto e che del resto
si è sempre verificato in tutti i paesi di forte immigrazione.»
Doro
Rosetti, «Fasti della colonia italiana in Argentina. Un fulgido ventennio» en Le vie d’Italia e dell’America Latina.
Rivista mensile del Touring Club Italiano. Anno XXXIV, N. 5 (Anno V dell’Ediz.
per l’America Latina), maggio 1928.
Imagen: «Buenos
Aires a vista de pájaro», de D. Dolin (circa 1865). Descripción: En el centro
aparece el edificio de la Aduana Taylor (o Aduana Nueva), con su muelle. En el
río se observan carretas para el desembarque de pasajeros y mercaderías, así
como navíos a vela y a vapor. Museo del Bicentenario (Buenos Aires).
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