martes, 20 de febrero de 2018

"Fasti della colonia italiana in Argentina. Un fulgido ventennio", de Doro Rosetti (1928)



«Nel 1865 Buenos Aires contava all’incirca 150.000 abitanti, meno di un decimo della popolazione attuale. Anche rispetto alla superficie la città era di proporzioni modeste. Poche erano le case che avessero due piani, e cioè uno in più di quello terreno: le vere strade normali al fiume non raggiungevano il numero di venti e ancora meno eran quelle longitudinali.
Calle Callao, l’odierna mediana della metropoli, pareva in quel tempo tracciata quasi… nella Pampa. I limiti estremi della città erano il Riachuelo, le strade Boedo, Castro, Medrano, Rivera e l’arroyo Maldonado. Il quartiere, oggi tanto popoloso della Boca, era allora costituito da un grupo di poche capanne di legno costruite sopra palafitte, perchè in quella plaga erano frequentissime le inondazioni. Flores, Floresta, San Martin, entrati poi a far parte del nucleo metropolitano, erano piccoli comuni limitrofi ove andavano in villeggiatura le famiglie benestanti.
Benchè i cittadini si gloriassero del nome di porteñi, un vero e proprio porto non esisteva. Al posto di quel Puerto Madero, che è legittimo orgoglio degli Argentini moderni ed è il primo palese segno della grandeza e della floridezza della Repubblica, non vi era allora nulla, assolutamente nulla. Le navi dovevano ancorarsi al largo nel Rio della Plata: persone e merci venivano trasbordate su vaporetti o barche che nemmeno potevan raggiungere la riva. Era necesario un secondo trasbordo su carri trainati da cavalli e talvolta da buoi, i quali si spingevano nel fiume quanto più lontano potevano dalla línea delle lavandaie che costantemente segnava il limite estremo dell’acqua. L’uso dei carri per lo sbarco durò per molti anni: anche dopo la costruzione di moli in legno, a cui potevano, nelle ore di alta marea, attraccare i vaporetti e i velieri di minore tonnellaggio. Oggi non è più che un ricordo dei vecchi: e i giovani, di certo, male si raffiigurano il pittoresco quadro delle donne intente a insaponare e risciacquar panni sulle sponde del fiume, proprio là dove oggi i flutti del Rio si infrangono contro i mastodontici blocchi di cemento dei bacini; mal si raffigurano l’umile donnesca fatica esercitata là dove ora ferve la più febbrile e rumorosa vita della città, dove s’ergono ciclopici silos, dove a fianco dei piroscafi si muovono a migliaia vagoni ferrorviari, carri ed autocarri, dove gru potenti e colossali volgono in ogni direzione le loro prensili braccia.
Buenos Aires era dunque, più di cinquanta anni or sono, una città piccola e in complesso poco attraente. Nelle sue arterie scorreva però tale linfa che anche un inesperto viaggiatore ne poteva preveder subito, al primo arrivarvi, il prodigioso avvenire. Dietro essa era tutto un territorio quasi incolto e di grande fertilità, che aspettava soltanto di essere dissodato. La fama di tanto tesoro era sparsa per il mondo e gli uomini intraprendenti vi arrivavano da fronte ai pericoli e ai disagi del lungo viaggio transoceanico, quando, per le voci e più per l’esempio di quanto li avevano preceduti, sapevan che vi eran laggiù premio rapido e sicuro per tutti gli uomini di buona volontà.
L’aflusso immigratorio, di qualsiasi provenienza, non era però così vario e proporzionato per categorie come avrebbero desiderato i dirigenti del paese. In esso, i contadini formavano la grande massa: dopo di quelli venivano gli operai manuali, e poi i commercianti. Arrivavano alla Repubblica anche uomini di lettere e di scienze: eran però sempre in numero esiguo, e molto spesso i migliori professionisti non vi si sapevano acclimatare oppure se ne ripartivano presto, dopo aver accumulato qualche modesto gruzzolo.
Complesse sono le ragioni di questo fenomeno, che allora era assai acuto e che del resto si è sempre verificato in tutti i paesi di forte immigrazione.»

Doro Rosetti, «Fasti della colonia italiana in Argentina. Un fulgido ventennio» en Le vie d’Italia e dell’America Latina. Rivista mensile del Touring Club Italiano. Anno XXXIV, N. 5 (Anno V dell’Ediz. per l’America Latina), maggio 1928.

Imagen: «Buenos Aires a vista de pájaro», de D. Dolin (circa 1865). Descripción: En el centro aparece el edificio de la Aduana Taylor (o Aduana Nueva), con su muelle. En el río se observan carretas para el desembarque de pasajeros y mercaderías, así como navíos a vela y a vapor. Museo del Bicentenario (Buenos Aires).


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