«All’Eccelentis.
Generale
DON JUAN DOMINGO PERON
Presidente della Repubblica Argentina
L’augurio, che possa realizzare i
Suoi alti ideale, per un avvenire
Sempre migliore della Sua Nazione
ARGENTINOS,
ITALO-ARGENTINOS,
Agradecemos
muy mucho a Ustedes, puès quisieron onornanos de presencia para oir esta mi
pobre palabra: pido à Ustedes disculpa, si en mi poca preparación por cierto no
podrè cabla de la Republica Argentina como merece. Aseguro, que mi corazón aùn después
de tantos anos todavía es lleno de sentimientos de amòr hacia esa grande
tierra.
EVIVA ARGENTINA
SIGNORE, SIGNORI,
ho creduto mio dovere prima di ogni cosa ringraziare la
collettività argentina per averci onorato di presenza ed ho chiesto venia, se
nelle mie poche possibilità, no potrò parlare di quel grande paese, come si
conviene.
Non è senza grande commozione che inizio la mia lettura,
poichè il mio attaccamento verso l’Argentina è così vivo, sebbene sia quasi
trascorso mezzo sezolo, d’avermi prima pensoso ed ora quasi tremante di non
poter assolvere il mio impegno, di non poter porgere a Voi questi miei ricordi
secondo i miei intendimenti.
Era ed è ancora oggi risaputo da tutti, che chiunque
abbandoni la propria patria, per tentare l’avventura nelle lontane Americhe, ha
già prefisso nella sua mente la speranza di trovare al suolo pesos, dollari,
reis, a seconda della nazione in cui sbarca. Forte di quella speranza non
appena giunto colà, cerca, avidamente; fu, Vi assicuro, una amara delusione.
Non solo, ma ai primi giorni mi capitò una disaventura, che poteva avere gravi
conseguenze per me. Una mattina salii sopra una tramvia per recarmi alla parte
periferica di Buenos Aires, mi accostai al fattorino per corrispondere l’importo
del biglietto e quegli mi disse: “Tiene, Uste, que bajarse, Senor”. Feci un
rapido esame mentale per poter capire quello che mi avesse detto; bacarse,
bacato. Allora ero giovane alquanto vigoroso non certamente bacato. Alla
replica del fattorino compresi più dal gesto, che dalla parola la necessità di
scendere dalla vettura. Ne conobbi in seguito la ragione; in quel tempo sulle
vetture tramviarie potevano rimanere solo persone sedute. Alquanto confuso
raggiunsi l’uscita, spiccai un salto, ma con la persona rivolta in senso
contrario al movimento della tramvia, che aveva già ripresa la sua corsa,
toccai il suolo e caddi riverso, restando alquanto tramortito.
Buenos Aires è divisa in due parti da due lunghe vie: l’Avenida
de 25 Mayio e la calle Rivadavia, questa del nome del primo presidente della
Repubblica Argentina. Si diceva allora, che un toscano, nell’attraversare
questa via, leggesse rivada via ed esclamasse: “Sicuro che me ne vado via”.
Anch’io dopo la mia disavventura pensai di fare altrettanto.
Il principio di una vita nuova in un paese straniero è
sempre difficile, irto di difficoltà, pieno di incognite. Chi si avventura deve
sopportare con forza disagi, avversità, durezza del vivere, difficoltà della
parola, l’ansia di guadagnare un pezzo di pane, anche, se questo costa poco.
Aggiungete il fattore morale, il pensiero costante della famiglia, il ricordo
del paese dove siete nati, dove avete vissuto la prima parte della vostra vita,
certamente la migliore, e non avrete che una pallida idea delle inaudite
sofferenze dell’umile emigrato. Solamente chi ha provato può darsi ragione,
notare questi sentimenti che deprimo il morale, che agiscono sui centri
nervosi, inibendo la corrente che sostenta lo spirito. Sovente l’emigrato non
potendo sopportare le avversità ritorna in patria o si abbandona agli eventi
spesso funesti.
[...]
SIGNORE, SIGNORI,
se qualcuno di voi dovesse per avventura recarsi nelle
Americhe, sia più provveduto di me, non creda di trovare denari al suolo,
giudichi queste dicerie nel suo valore simbolico. E’ solamente dal duro,
diuturno sacrificio del lavoro e, nella Repubblica Argentina, dalla
coltivazione della terra, che nascono benefici sicuri.
L’Argentina è un paese di grande avvenire, d’immigrazione
e di colonizzazione per eccellenza; è la nazione che meglio risponde al noi
latini per il clima, per l’affinità di vivere: ragioni tutte, che rendono meno
penosa la nostalgia della Patria lontana.
Per il bene dell’umanità
tutta è desiderabile che si avveri il detto della prima parte della canzone nazionale
argentina:
Oid,
Mortales, el grito sagrado
Libertad,
Libertad, Libertad.
Udite, o mortali il grido sacro “Libertà”).
Auguriamoci che le nubi, adensatesi sull’orizzonte
europeo abbiano a diradarsi, scomparire completamente, e dar luogo all’azzurro
del cielo: azzurro di cui fa parte la nostra bandiera bresciana e quella più
grande della Repubblica Argentina, azzurro, che vuol significare tranquillità,
pace, lavoro.
E’ dovere di ogni straniero residente in quella terra
ospitale opporre, accanto alla propria bandiera, quella nazionale argentina, in
occasione di manifestazioni: esprimo forte l’augurio, che le nostre due
bandiere possano sempre camminare unite per un avvenire migliore delle due
Nazioni, madre l’una di cose grandi nei tempi, figlia onorevole, benedetta, l’altra.
EVVIVA L’ARGENTINA»
Grisante Borgondo. Lontani
ricordi della Repubblica Argentina. Brescia, 26 gennaio 1950. Auspici “La
famija Piemönteisa” ed il Circolo Argentino di Brescia.
Más información: Testimonianza storica di un piemontese in America
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