Paola Pietrafesa
Buenos Aires
abnegada,
ciudad abierta y bien amada
dio albergue de su fe
a cuantos a ella vinieron
y a poco andar se fundieron
en su crisol…
Alberto Vaccarezza, El conventillo de la paloma
Se si val sul dizionario a cercare il significato della
parola immigrazione, tra le varie opzioni, la prima che compare davanti ai
nostri occhi è la seguente: “In generale, l’insediamento di uomini in paesi
diversi da quello in cui sono nati, per cause naturali o politiche; può essere
di massa o d’infiltrazione, secondo che le unità che si spostano comprendano
varie migliaia di individui oppure siano di scarsa entità”. Nel caso
dell’Argentina il processo si trattò di un movimento di massa che si compì in
diverse fasi: la prima a partire dal 1855, la seconda verso il 1880 fino ai
primi anni del 900 e infine la terza e quarta fase intorno agli scoppi delle
due Guerre Mondiali rispettivamente. Due caratteristiche del processo sono
state l’intensità e la concentrazione del flusso di persone appena arrivate
rispetto alla popolazione locale. Il primo censo nazionale evidenzia che la
città di Buenos Aires contava con una popolazione di quasi 178.000 persone, di
cui 88.000 erano stranieri.
Note sono la vastità e ricchezza del materiale riguardante
l’argomento, con dettagli di numeri e percentuali, ma a mio avviso la
possibilità di leggere i romanzi previsti nel programma della materia, mi ha mi
consentio di scoprire e di conoscere la dimensione umana del fenomeno.
I romazi proposti e sui quali si basa il presente lavoro
sono: Luz de las crueles provincias
di Héctor tizón, El mar que nos trajo
di Griselda Gambaro, Stefano di María
Teresa Andruetto. È a partire dalla loro lettura che risulta possibile
ricostruire l’immagine dell’immigrante nelle sue tante sfaccettature: uomo e
donna che partono, passeggero/a, persona appena arrivata, abitante (non per questo
necessariamente cittadino/a), lavoratore/lavoratrice, figlio/a che lascia la
patria, madre e padre nel nuovo paese.
Il primo elemento ad accomunare gli immigranti nella
nuova impresa è stata, senza dubbi, la nave. Di solito si partiva dal porto di
Genova e da lì, inseguito a tantissime pratiche, finalmente i passeggeri riuscivano
a salire su “Se metieron en una fila que daba la vuelta a Génova y allí
estuvieron todo el día. Avanzaban lentamente porque en la mesa
de Migraciones debían sellar pasaportes, mostrar las libretas de trabajo y
entregar los billetes de barco”1. A volte la questione non risultava
affatto semplice “El barco está completo, informó el de la oficina cuando les
tocó el turno, pero ellos insistieron hasta convencerlo. El hombre selló los
pasaportes, puso cinco veces Destino: Buenos Aires, y le dijo a otro: -Sumás
estos cinco y se cierra la lista”2. Così in trepidante attesa di raggiungere il nuovo territorio,
dove intuivano che la vita sarebbe stata sicuramente migliore, salivano con i
loro bagagli e oggetti più cari, pieni di sogni, aspettative e il cuore a pezzi
per essere stati costretti a lasciare l’unica sicurezza che, fino a quel
momento, avevano posseduto: il luogo natio. Una volta sulla nave tutti
dovevano sistemarsi secondo le regole: “Duermen en literas y algunos en el
suelo. En el compartimiento han quedado sus amigos”3. Di solito il
viaggio risultava un’esperienza difficile e gli immigranti sentivano un
profondo disagio “no hablaron con nadie como no fuera para asentir o negar, con
monosílabos, a pesar de que el barco estaba repleto de paisanos,
temperamentales y ruidosos, gente de toda calaña, gordos, niños, familias
enteras e incluso un ciego. Pero ambos se sentían aun más solos entre aquella
multitud de esperanzados fugitivos”4 “ambos abandonaban la
promiscuidad de aquellas literas húmedas y malolientes para ir a sentarse en la
cubierta de proa y allí juntos, contemplar el despuntar del día en el horizonte
inmenso”5.
Finito
il viaggio, gli immigranti arrivavano in Argentina e cercavano di sistemarsi
dove potevano. Alcuni venivano con una lettera di raccomandazione, altri invece
con la spettativa di trovare un parente o un amico che si fosse stabilito
precedentemente per inserirsi nel mondo del lavoro.
È da sottolineare che questi uomini di cui abbiamo
parlato finora, protagonisti centrali di romanzi sopra elencati, tranne
Stefano, furono accompagnati e seguiti, nonostante tutto, dalle loro mogli con
una rassegnazione e un coraggio inestimabili. Tanto Luisa (El mar que nos trajo) quanto Rossana (Luz de las crueles provincias) rimasero vicine loro senza mai
chiedere niente, in silenzio, accettando ciò che il destino determinava, con
assoluta integrità. Su Luisa, scrive Gambaro: “No se atrevía
a desearse distinta porque Agostino la amaba. Al mes del nacimiento de la niña,
retomó su trabajo”17, “Luisa recogía la ropa de las casas acomodadas
y la lavaba en los piletones de cemento al aire libre, en el fondo del patio”18,
“Ella aprovechaba la ausencia de Agostino, el sueño de Natalia, cada instante
del día. Estiraba la ropa empapada en almidones con una plancha de hierro que
calentaba en un brasero de carbón, y la devolvía puntualmente recorriendo
largas distancias para no gastar en el tranvía. El ruido y el movimiento de las
calles la asustaban, pero se guardó de confesar sus temores a Agostino. No era
dada a exigir y a quejarse porque de donde venía, una Florencia aldeana y
pobre, la resignación se aprendía en la cuna, junto al primer balbuceo”18.
Tizón a sua volta descrive Rossana: “terminaría por habituarse a que Giovanni
saliera muy temprano y sólo regresara al atardecer”19 “su vida breve
estuvo hecha de esperas”20, “Ella sólo sentía tristeza, no
sobresaltos ni angustias. Como su madre y su abuela, y la abuela de su abuela y
las demás mujeres iguales a ella, no había sido educada para imaginar y a
través de la imaginación temer, sino para esperar y ella esperaba sin
impaciencia”21. Non a caso il personaggio del Propietario dice in Luz de
las crueles provincias “No hay nada más seguro para prever el destino de un
hombre que una mujer fuerte a su lado”22. Non ci sono in queste figure fesure. Donne tutte a un
pezzo, anche se in apparenza fragili che continuarono sempre a svolgere le attività quotidiane al di là dei sobbalzi che
la realtà implacabile imponeva alle loro vite. Natalia, figlia di Luisa,
ereditò anche il carattere deciso della madre.
Fino ad ora abbiamo visto quale fossero le impressioni e
le percezioni degli immigranti nei confronti del nuovo territorio, ma è anche
opportuno rintracciare dai testi la visione che ebbero gli abitanti locali nei
loro confronti. Nel romanzo di Griselda Gambaro appare molto chiaro come spesso
gli italiani venissero considerati anarchisti e perciò un pericolo per la
società. Questo lo si può vedere nella scena nella quale Luisa, spinta dalla
paura e dalla disperazione, chiede a un poliza se per caso ha visto Agostino. Lui
le fa molte domande e per ultimo “él inquirió si su Agostino no sería por
casualidad un anarquista. Esos animales solían pelearse entre ellos, aparecería
en un zanjón”23. La
stessa idea viene ripresa nel romanzo più avanti, quando due fratelli del inquilinato, Nino e Massimo, vengono
portati via dalla polizia sotto l’accusa di essere anarchisti. Angelina
e Nuncia, due vicine, dedicate ai pettegolezzi dicono “ Esos dos, dijeron,
refiriéndose a Massimo y Nino, leían demasiado, protestaban mucho”23
e aggiunge la scritttrice “Esos dos serían llevados de vuelta a Italia, metidos
en el primer barco que partiera del puerto. Si habían llegado paupérrimos,
regresarían desnudos. En Italia tampoco los recibirían con los brazos abiertos”24.
Quindi sorse in molti argentini un pregiudizio verso gli
immigranti che li condusse a ritenerli persone incapaci di apprezzare la
“gentilezza” con cui il paese li aveva accolto “Regresaban tarde aunque debían
levantarse antes del amanecer. Y en ese caso, levantarse antes del
amanecer no significaba mérito sino corroboración de sospechas. Si los hombres
emigraban, no era para provocar escándalo. Un país los acogía hospitalariamente
y algunos en lugar de agradecer, tiraban bombas”25. Anche qui scrive
Gambaro: “Bien merecido el regreso a esa Italia que se abandonaba por pobre,
insistieron con las voces ya un poco secas y una crueldad de la que no estaban
conscientes: ese regreso confirmaba su propio lugar bajo el sol, lo volvía más
seguro a esta Argentina que ellas consideraban benévola. Les había otorgado trabajo, un techo, comida”26.
Inevitabilmente mi vengono in mente tante domande sul modo in cui effetti sono
stati accolti: se veramente ci fu nei loro confronti un atteggiamento di
comprensione che tenesse conto delle loro sofferenze; o se li si guardò come
una minaccia alla la nostra “argentinidad”.
Un’altra visione che si ripete è quella secondo la quale
l’immigrante veniva visto, nella maggior parti dei casi, come un “extraño”, ad esempio del libro di Tizón quando, la
moglie di Juan, parla di Rossana e dice “No
entiendo lo que habla, ella sigue siendo de afuera...”27 “ella es
extranjera, yo no la entiendo”28. Per quanto riguarda al lavoro, ed
è questo il caso di Stefano, il suo sforzo non veniva mai riconosciuto e questo
lui lo subiva, anche se a priori sapeva
che non c’era molto da aspettare “El pan del patrón, Stefano, tiene
siete cáscaras y la más rica es la quemada”29 perché glielo aveva
detto la madre prima di partire e una volta qui, Moretti ribadisce il concetto. Per quanto riguarda la
vita in generale, si può capire come fosse dalle parole pronunciate dal propietario riferendosi a Giovanni, “Tu
padre apenas si vivió. Era un buen hombre, creo, y ni siquiera
alcanzó a saberlo. Pero era extranjero y el gran defecto de un extranjero es
morir joven; los que no mueren jóvenes dejan de ser extranjeros…”30
C’è da dire che così come gli immigranti avevano un’idea
o un’illusione di come sarebbe stato il nuovo paese e gli argentini si erano
creati una immagine di loro, anche gli italiani rimasti in Italia, avevano un’immagine
dei parenti che partivano. Mentre Stefano credeva che in Argentina si potessero
far soldi, la madre gli rispondeva “¡Cosas que inventan! Pero nadie regresa
para contar...”31 Quindi al paese sconosciuto si associarono
concetti come ricchezza e abbondanza.
All’epoca si pensava all’Argentina come il paese dove tutti potevano diventare
ricchi e ciò li portava a dimenticare le loro famiglie di origine immerse nella
povertà. Stefano, non appena conosce la notizia della morte della madre, ripete
le parole sentite una volta dalla sua bocca “Maledetto Cristoforo Colombo que
descubrió la América”32.
Davanti a un panorama così complesso e con scarse
possibilità di successo, gli immigranti incominciavano a vedere, forse
inconsciamente, nei propri figli (quelli nati in Argentina) la possibilità di
in qualche modo riuscirci. Allora sia la figura di Isabella come quella di Juan
rappresentano l’obiettivo raggiunto. Nel
mar que nos trajo è Domenico che tramite Isabella si illude di risolvere la
propria ignoranza “Feliz, le susurraba en el oído sus viejas canciones, porque
aunque no podía expresarlo, creía que cuando ella leyera y escribiera
fluidamente, su propia ignorancia se vería resarcida”33, e Rossana
da parte sua, davanti al figlio diventato giudice, riconosce con amarezza che a
causa della sua condizione di donna nulla è cambiato “todos me tratan como a
una cosa que los hombres pretenden heredar apenas ven que ya no tiene dueño”34.
Nell’aspetto linguistico i personaggi di questi romanzi,
che appena arrivati sentono l’impossibilità di capire la nuova lingua, come nel
caso di Stefano “el hombre habla una lengua que él no entiende”35,
Luisa “había descendido de un barco en un país extraño, no conocía a nadie, no
conocía la lengua que se hablaba en ese país”36 e Rossana “pensando
que no se entendería hablando, le señaló con el dedo”37, alla fine riescono
a comunicare e a stabilire dei rapporti con gli altri. Ricordiamo che inquilinato dove vivevano Luisa e le
figlie era un luogo in cui si concentravano persone provenienti da diverse
parti (Spagna, Abbruzzo, Sicilia ecc.), una specie di colorito ventaglio della
realtà. Né Stefano, che percorre l’interno del paese viaggiando con il circo,
presenta difficoltà a comunicare né Giovanni e Rossana che si adattano pure
bene al ambiente jujeño. In questo aspetto
gli autori non hanno sentito il bisogno di farli parlare in cololiche o con espressioni in italiano,
tranne nei momenti in cui i personaggi trattano di esprimere qualche sentimento
molto profondo per loro come l’amore per la madre morta, nel caso di Stefano, o
per Rossana quando parla al figlio prima che lui si sposi “Vas a casarte –dijo
ella-. Pero sólo una cosa te pido, una piccola
cosa...”38 . In quel caso inevitabilimente i personaggi fanno ricorso alla loro lingua
madre. Nel Mar que nos trajo una delle figlie di Luisa e Domenico, viene
chiamata Isabela anche se i genitori le
dicono sempre Isabella. Quando compaiono riferimenti alle canzoni, l’italiano
si fa presente. Queste in quanto manifestazioni della propria cultura, fungono
da ponti me tramite i quali gli immigranti recuperano istantaneamente la loro
terra ricollegandosi ad essa in modo ineluttabile, per esempio, quando canta
Aldo “Scrivimi, non lasciarme più in pena”39 e dopo, al momento di
dire addio anche Stefano canta “Scrivimi, sarà forse l’addio”.40
I personaggi dei romanzi citati sono arrivati in
Argentina durante le prime ondate immigratorie. Erano per lo più molto giovani
o perfino adolescenti. Dai testi letti si possono desumere quali siano state le
dure condizioni in cui si è svolto il processo di adattamento e quanto sia
stato difficile per loro stabilirsi e trovare “un posto al sole” nella nuova
terra. Il mondo interiore dei personaggi
viene così reso e rispecchiato dagli autori in modo che il lettore possa
coinvolgersi pienamente anche fino alle lacrime. Luz de las crueles provincia è poesia fatta prosa che narra con
squisita bellezza la tenacità e il coraggio di Rossana, El mar que nos trajo recupera tramite la memoria la storia di Agostino
e narra il processo di formazione di una famiglia unita e allo stesso tempo
divisa dal mare. Dalle vicende dei personaggi è possibile intuire la vera
dimensione dell’oceano e della distanza che “consiste en no saber nada del otro.”41
Infine il testo Stefano, con un
linguaggio scarno e arido, privo di aggettivi e sfumature, ci rende spettarori
del dialogo mentale che il personaggio mantiene ora con la madre, ora con Ema, attraverso
il quale possiamo entrare nel suo mondo di ragazzino costretto dalla vita ad
essere adulto prima dei vent’anni.
Note
1 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 12.
2
María
Teresa Andruetto, Stefano, Buenos
Aires, Sudamericana 2012 p. 14.
3
María
Teresa Andruetto, Stefano, Buenos
Aires, Sudamericana 2012 p. 15.
4
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 19.
5 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 22.
6
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 20.
7
Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 17.
8
María Teresa Andruetto, Stefano, Buenos Aires, Sudamericana 2012
p. 33.
9 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 19.
10
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 25.
11 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
12 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
13 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
14 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 23.
15 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 19.
16 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 36.
17
Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 19.
18 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 20.
19
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 29.
20 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 29.
21
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 58.
22
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 107.
23 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 107.
24 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 99.
25
Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 99.
26 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 100.
27
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 194.
28
Héctor
Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 194.
29 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 44.
30 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 143.
31 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 87.
32 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 87.
33
Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 60.
34 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 216.
35 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 181.
36 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 24.
37 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 31.
38 Héctor Tizón, Luz de las crueles Provincias, Buenos
Aires, Alfaguara 2002 p. 181.
39
María
Teresa Andruetto, Stefano, Buenos
Aires, Sudamericana 2012 p. 54.
40 María Teresa
Andruetto, Stefano, Buenos Aires,
Sudamericana 2012 p. 68.
41 Griselda
Gambaro, El mar que nos trajo, Norma
2010 p. 134.
No hay comentarios:
Publicar un comentario
Nota: solo los miembros de este blog pueden publicar comentarios.